Crisi, recessione e disoccupazione alle stelle. Argomenti che
dominano ormai da mesi il dibattito sui media nazionali ed
internazionali suonando, alle orecchie dei cittadini, come veri e
proprio bollettini di guerra. Ma l’empasse che attanaglia l’economia del
nostro paese presenta risvolti ancora più preoccupanti, non sempre
portati sotto le luci della ribalta.
In nome dell’austerità
promossa dall’attuale governo, infatti, si profila all’orizzonte un
futuro tutt’altro che rassicurante per le rinnovabili. Già, perché ai numerosi tagli operati dall’esecutivo italiano potrebbero aggiungersi quelli sugli incentivi destinati allo sviluppo di energia ‘pulita’, nonostante la Green Economy
abbia dimostrato di poter contribuire con un indotto importante alla
crescita del sistema-paese. Il motivo? Non semplicemente politico o
economico, ma soprattutto normativo. Se da una parte è vero che l’Italia, come stato membro della Comunità Europea, si è impegnata a rispettare il pacchetto clima-energia che per il 2020 punta a una riduzione del 20% delle emissioni di Co2 e a realizzare la stessa percentuale anche sul fronte del risparmio energetico,
dall’altra gli incentivi statali stanziati dal 1992 ad oggi per
incentivare lo sviluppo di fonti energetiche alternative a quelle
fossili sono finiti quasi tutti nelle mani di aziende che di ‘green’
hanno ben poco.
Oggi,
rispetto ai traguardi fissati dall’UE, l’Italia si trova a metà strada
ma il cammino è ancora lungo e irto di difficoltà. E se mai come in
questo momento investire sulle rinnovabili –per favorire un generale
miglioramento della qualità della vita e per creare economia di scala e
occupazione – sarebbe più che auspicabile, è anche vero che occorre rivedere l’intero impianto normativo e disciplinare l’erogazione dei fondi in maniera equa ed equilibrata vigilando su di essi.
L’attuale sistema degli incentivi, soprattutto nel fotovoltaico, ha prodotto abusi, distorsioni e speculazioni. Un peccato, perché grazie alle rinnovabili i costi dell’energia sono diminuiti, molti comuni hanno abbracciato un modello di autonomia energetica sempre più efficiente e i consumatori, solo nel 2010, hanno potuto fare a meno di 61 milioni di tonnellate di petrolio e suoi equivalenti, con grandi benefici per salute e ambiente.
E
allora, perché gettare tutto alle ortiche? Non sarebbe opportuno che il
governo, prima di usare lo strumento economico, ricorresse a quello
legislativo avviando una seria revisione della disciplina che
regolamenta il settore? Più che un problema economico, infatti, qui c’è
in ballo una questione ‘etica’ perché affossare le rinnovabili sarebbe
come rinunciare alla tutela della salute dei cittadini. In altre parole,
a un futuro migliore.
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