Se il Tav Torino-Lione costa all'Italia tra i 15 e
e i 20 miliardi di euro, secondo il Ministero dello Sviluppo ne servono
altrettanti (15) per collegare il "100% dei cittadini a 30 Mbps". In
Corea e Giappone viaggiano tutti a banda ultralarga, che nel Belpaese
copre solo il 10% del territorio. Ma può valere fino al 3% del Pil
Punti di
Pil perduti, risparmi e posti di lavoro
mancati. La fibra ottica o banda ultralarga (che viaggia a 100 megabit
per secondo – Mbps, velocità superiore rispetto alla banda larga,
definita tra i 2 e i 20 Mbps) non significa soltanto connessione a
Internet
ma prospettive di ricavi e di occupazione, specie in tempi di crisi. La
sua diffusione, secondo la Commissaria europea per l’Agenda digitale
Neelie Kroes,
potrebbe valere un aumento dall’1 all’1,5% del Pil. Ancora più
significative le stime elaborate dall’osservatorio “I costi del non
fare” di
Andrea Gilardoni della Bocconi di Milano,
secondo cui la fibra ottica vale ogni anno fino al 2030 il 3% del Pil.
Eppure per l’Italia rischia di essere un’occasione persa. Analfabetismo
digitale e scarsa conoscenza delle potenzialità di Internet, da parte di
aziende e utenti privati, generano il circolo vizioso per cui la banda
ultralarga in Italia non decolla. Il costo è assimilabile a quello di
una ‘grande opera’. Se il
Tav Torino-Lione costa all’Italia tra i 15 e e i 20 miliardi di euro ne servono altrettanti (15) secondo l’
Agenda digitale del
Ministero dello Sviluppo
per collegare il 100% dei cittadini a 30 Mbps e il 50% a 100 Mbps, come
prevede l’Agenda digitale Europea. A investire sul piano della
ultrabroadband
il governo italiano (che ha ricevuto fondi europei per 440 milioni di
euro) e i Fondi italiani per le infrastrutture F2i Tlc-Metroweb
(partecipato da Cassa Depositi e Prestiti) che ha annunciato un piano da
4,5 miliardi di euro nei prossimi anni per coprire le 30 città
maggiori. E poi gli operatori privati: 10 miliardi di euro (di cui 4 già
investiti) per le reti di nuova generazione mobile e 500 milioni di
Telecom per la banda larga. Il totale potrebbe coprire il costo dei 20
miliardi. Purtroppo però gli operatori, ad eccezione dello Stato,
lavorano tra loro in sovrapposizione in zone in cui c’è già mercato,
quindi implementano il servizio solo dove sono certi del ritorno degli
investimenti.
Ragione per cui il presidente di Telecom
Franco Bernabè
ha specificato che non ci sarà alcuna accelerazione per la fibra ottica
dato che “le indicazioni dell’Unione europea sono soltanto
programmatiche”. L’ex monopolista prosegue nel suo piano di portare
Internet ultraveloce in 99 città entro il 2014, che nel 2018
diventeranno 250, ma la velocità nelle case degli utenti potrebbe non
superare i 50 Mbps. A Telecom si aggiunge il piano di F2i-Metroweb che
intende portare la fibra a 100Mbps effettivi in 30 città. La prospettiva
più realistica, quindi, è che tra alcuni anni appena il 20% della
popolazione viaggerà ultraveloce, mentre solo un terzo delle famiglie
italiane arriverà a 50 Mbit. A meno che la domanda di mercato non spinga
gli operatori ad accelerare e a impiegare risorse per lo sviluppo della
rete ultraveloce.
Eppure negli anni Sessanta, quando venne
costruita l’Autostrada del Sole, non c’erano certezze sul ritorno
economico. La prima azienda a caldeggiare la sua realizzazione è stata
la
Fiat, certa che l’infrastruttura avrebbe creato la
domanda e aumentato la vendita delle auto. Una proiezione che si è
rivelata corretta: gli italiani, viste anche le crescenti possibilità
economiche, volevano viaggiare e spostarsi più rapidamente. Una logica
valida anche per la fibra ottica: se fosse implementata su scala
nazionale, gli utenti sarebbero invogliati a utilizzarla perché
offrirebbe servizi migliori incrementando la qualità e la velocità di
trasmissione dei dati.
LA COPERTURA DEL TERRITORIO
– Eppure la fibra ottica in Italia è percepita come un lusso, più che
come un investimento necessario per lo sviluppo. A oggi copre soltanto
il 10% del territorio, mentre in Svizzera arriva al 90%. La Francia
ambisce al 37% entro il 2015 e al 100% nel 2025.
Giappone,
Corea del Sud corrono al 100% sulla banda ultralarga. E l’
Australia sta già adottando un piano di conversione a livello nazionale. In altri paesi europei, tra cui la
Gran Bretagna,
gli operatori privati hanno avviato ambiziosi piani di investimento,
legati però ad aree remunerative. Scelte legate anche alla
consapevolezza che un reale investimento nella
ultrabroadband porterebbe risparmi per la pubblica amministrazione e le famiglie. Sul fronte italiano,
Monti è volato nelle scorse settimane in Idaho per incontrare i guru della comunicazione e insieme a
Passera,
che all’assemblea di Confindustria ha definito “prioritaria” la banda
larga, punta sull’urgenza dell’agenda digitale perché “l’innovazione
consente di fare molte cose con minori risorse”. Tanto da avere proposto
di tenere gli investimenti sulla banda larga fuori dal fiscal compact.
Le speranze arrivano anche oltreoceano, visto che secondo il
New York Times con Monti “gli italiani stanno vivendo un risveglio digitale a lungo atteso”.
A CHE PUNTO SIAMO OGGI? – Il decreto
Digitalia,
che doveva definire obiettivi e stanziamenti per la banda larga, da
giugno è stato rimandato a settembre. A parte il ritardo istituzionale,
secondo i dati diffusi ad aprile dalla Commissaria europea per l’Agenda
digitale,
Neelie Kroes, nel nostro paese
l’alfabetizzazione digitale è molto arretrata. Oltre il 41% degli
italiani, infatti, non è mai entrato in rete, il doppio o il triplo
rispetto a
Francia (24%),
Germania (17%) e
Regno Unito (10%).
Infratel,
però, la società del ministero dello Sviluppo che si occupa di portare i
cavi e la connessione in aree dove il mercato non interviene per
mancanza di redditività, spiega che al 30 giugno 2012 la diffusione
della rete a banda larga (non fibra ottica) in Italia ha raggiunto il
95,2% complessivo della popolazione di cui circa il 3% utilizza
connessione via smartphone (3G). Rimane escluso ‘solo’ il 4,8%, senza
copertura o servito da tecnologia di bassa capacità come adsl fino a 640
kbs, ovvero “banda stretta”. Secondo questo dato, unito a quello
fornito da
Infratel, il 36,2% della popolazione avrebbe la possibilità di connettersi, ma preferisce non farlo.
RICAVI MANCATI
– Eppure l’analfabetismo digitale sommato alla banda che manca costa al
nostro paese tra l’1,5 e il 3% del Pil che potrebbe essere recuperato,
ad esempio, con l’adozione di servizi di videocomunicazione avanzati che
creano “realtà aumentata” – ovvero una realtà virtuale e
tridimensionale applicata dalla chirurgia robotica alla
geolocalizzazione – e semplificano sia il processo produttivo sia quello
di apprendimento, riducendo anche la necessità della presenza fisica. E
poi il cloud computing, ovvero il trasferimento dei dati su dispositivi
remoti che rende le prestazioni flessibili e veloci. Senza contare che
entro il 2015 il settore Ict darà lavoro in Europa a oltre 700mila
persone. Numeri promettenti che delineano un panorama di business e
occupazione importante sul quale, però, l’Italia non ha ancora deciso di
realizzare un efficace piano di sviluppo. Secondo
Confindustria digitale nei
prossimi 3 anni, ad esempio, “il contributo della Internet economy al
Pil passerà in Italia dal 2,1 al 3,5 %” e nei paesi dell’Unione europea
l’impatto sarà ancor maggiore, “con un aumento dal 3,5 al 5,7%”. Inoltre
per il suo presidente
Stefano Parisi, ”solo il 4%
delle imprese italiane effettua vendite direttamente on-line”. Anche se,
aggiunge, “le stime indicano che in questi tre anni di crisi le aziende
italiane che hanno puntato sul web sono cresciute in termini di
fatturato mediamente del 5,7% in più rispetto alle imprese che sono
rimaste off-line”. Stime che possono incidere sensibilmente sui bilanci
aziendali. Confindustria digitale infatti ha calcolato che “se tutte le
imprese italiane aumentassero solo dell’1% il loro fatturato attraverso
le vendite on-line verso l’estero, le nostre esportazioni totali
aumenterebbero dell’8% pareggiando il saldo import-export di beni e
servizi”. Ragione che li ha spinti a proporre “una detassazione parziale
dei ricavi delle piccole imprese da e-commerce internazionale e una
semplificazione delle procedure per gli acquisti online delle Pmi”. Ma i
guadagni non riguardano soltanto il comparto industriale: ”Un uso
intensivo di internet può portare risparmi di più di 2mila euro a
famiglia”, dai servizi offerti dal web all’home banking che, secondo uno
studio pubblicato a marzo della Bcg (
Boston Consulting Group)
in Francia, Germania e Regno Unito aumentano a 4500 euro per famiglia.
Importante anche l’entità del risparmio sulla spesa pubblica, dove “il
completo switch off digitale delle pratiche amministrative e
dell’acquisto di beni e servizi da parte delle Pubbliche Amministrazioni
porterebbe risparmi per 13 miliardi di euro di spesa corrente
all’anno”.
GRANDI OPERE E FIBRA OTTICA -
Risparmi e possibilità di investimento capillari che tuttavia non sono
ancora percepiti come “priorità” per il paese. “La Tav è stata
concordata con altri partner, ma quante risorse pubbliche hanno drenato i
settori come quello automobilistico, dell’energia, del digitale
terrestre? O quanto denaro hanno dovuto pagare i cittadini sulle
bollette energetiche dell’ammodernamento dei contatori elettronici, del
finanziamento delle rinnovabili, dell’acquisto del decoder digitale in
una logica di switch-off forzoso?”, domanda
Cristoforo Morandini
di Between-Osservatorio Banda Larga che ricorda anche il “gioco di
interessi” ben oltre le decisioni della politica nel convogliare una
ingente quantità di risorse in un unico settore, “seppur strategico e
vitale per lo sviluppo”. Parlando di cifre, “portare realmente la fibra
ottica a tutti gli italiani, anche nel più sperduto paesino presenta dei
costi proibitivi, costa intorno ai 20 miliardi di euro. Attraverso
l’utilizzo di diverse soluzioni tecnologiche e ponendosi l’obiettivo di
superamento dei 30 mbps si può effettivamente pensare di raggiungere la
meta con meno di 10 miliardi”. Secondo l’Adoc, ad esempio, solo per il
passaggio al digitale terrestre gli italiani hanno speso oltre 2,5
miliardi. A soprendere sono i vantaggi dell’implementazione della fibra
ottica anche se per realizzarla a livello nazionale, data la difficoltà
culturale e delle infrastrutture, si dovrebbe “pensare a un piano
decennale”. Già nell’arco di due-tre anni, però, “si possono ottenere
ottimi risultati”, a differenza del Tav visto che, secondo un documento
dell’
Agenzia Nazionale per l’Ambiente francese,
la “svolta importante” del progetto ci sarà “a partire dal 2030-2035″. L’ostacolo
principale infatti non è la conformazione fisica del territorio,
prosegue Morandini, ma le “economie di densità”. Ovvero la priorità a
impiegare le risorse nelle zone più popolate, dove “è più rapido il
ritorno degli investimenti” visto che “75%-80% dei lavori associati alla
banda ultra larga sono di tipo civile, vale a dire scavi, ripristini,
posa di cavidotti, allestimenti”.
DIGITAL DIVIDE CULTURALE - Aldilà
delle infrastrutture però “non tutti i politici hanno la sensibilità e
le competenze per affrontare un tema così complesso”, puntualizza
Alfonso Fuggetta, docente del Politecnico di Milano e collaboratore de
lavoce.info.
E anche nel settore industriale la sensibilità è “a macchia di
leopardo, dove le aziende che operano a livello internazionale,
sollecitano la necessità di banda, a differenza di chi magari opera
esclusivamente in Italia e ha il cliente sotto casa. Ma ci sono zone
industriali in aree poco densamente popolate in cui il digital divide è
il primo problema”. A concorrere nella realizzazione della banda e del
servizio sono lo Stato e gli operatori privati e la questione non si
limita a “Monti o Passera, ma agli ultimi dieci anni persi”. La prima a
dovere sollecitare la domanda di banda (e velocità) dovrebbe essere “la
pubblica amministrazione, ancora troppo legata al cartaceo. E dove, in
molti casi, il servizio digitale offerto ai cittadini sembra un lusso,
non un investimento”. Eppure “dieci anni fa eravamo all’avanguardia in
Europa anche per la diffusione della fibra”. Ora, invece, è tempo di
tornare a correre.
fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/06/litalia-della-banda-pil-mancato-richieste-delleuropa-e-italiani-poco-digitali/295655/