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lunedì 27 agosto 2012

Aiuola mobile per le città

Aiuola mobile per le città

Alberi, piante, fioriere e comode panchine in legno: un micro-giardino “all-inclusive” tutto su un carrello, da posizionare e comodamente spostare nelle aree pedonali e sui marciapiedi delle città.
Per trovare l’ispirazione di questo progetto, il designer Matteo Cibic è partito dall’esperienza personale di giovane cresciuto nella grigia e caotica Milano. Nei suoi intendimenti, questa soluzione mobile, semplici e ingegnosa, potrebbe cambiare il volto dell’arredo urbano.
Accomodandosi sulle panchine del carrello, si potrà comunque rimanere in contatto con il mondo, grazie a connessione Wi-fi e caricabatterie con ingresso Usb. Luce sempre garantita, anche di sera, grazie a un adeguato impianto di illuminazione notturna.
La domanda sorge spontanea: che altro chiedere?
La risposta ci metterebbe in difficoltà. Nelle intenzioni di Cibic, si prevede di pagare una piccola quota per l’utilizzo dell’isola mobile.
Un prezzo simbolico, il cui contraltare però è significativo: ciascuno può ritagliarsi un albero sotto cui sedersi, e fare i propri comodi. Nelle nostre città, potrebbe in poco tempo non esser più un lusso.

mercoledì 22 agosto 2012

Val Venosta, asfalto “silenzioso” con vecchi pneumatici


I risultati dei test hanno mostrato come l'asfalto sia in grado di ridurre l'impatto acustico dei veicoli di 4 decibel


E se le barriere antirumore "restano valide, ma non possono essere costruite ovunque"? perché, “spesso separano zone abitate e disturbano l'immagine del paesaggio”, ecco che arriva una nuova tipologia di asfalto fonoassorbente, ricavato “da pneumatici fuori uso che, miscelati a composti bituminosi, generano un asfalto dalle ottime prestazioni antirumore”.

La lotta all'inquinamento acustico procede in Val Venosta. E con molta probabilità si punterà sul cosiddetto "asfalto silenzioso". I risultati dei test, conclusisi lo scorso  luglio, su questa nuova tipologia di asfalto fonoassorbente, ricavato da pneumatici fuori uso miscelati a composti bituminosi, sono stati decisamente positivi: l'asfalto è in grado di abbattere il rumore di 4 decibel. Un esito che, stando alle notizie diffuse, spingerà la Provincia ad applicare la nuova tecnologia in gran parte della rete stradale altoatesina come alternativa alle tradizionali, e ingombranti, barriere antirumore.

"Il segreto del composto che stiamo testando - spiega Paolo Montagner, direttore del Servizio strade - è che rende possibile la posa di un asfalto con coefficienti di aderenza superiori e minore rumorosità". E inoltre, nonostante necessiti di manutenzione e periodici interventi di nuova posa, il suo costo è all'incirca la metà rispetto a quello delle barriere antirumore. "In tempi difficili come questi - sottolinea l'assessore ai lavori pubblici Florian Mussner - mi sembra una motivazione più che valida: con meno impegno finanziario potremmo migliorare in maniera concreta il problema del rumore lungo le nostre strade".

martedì 21 agosto 2012

I LED consumano meno, ma NOI consumiamo meno??

Un’illuminazione più efficiente comporta un aumento di produttività, ma per l’effetto rebound, anche un aumento dei consumi


Due ricercatori, Jeff Tsao e Harry Sunders, del Breakthrough Insititute di Oakland, California, attraverso le pagine della rivista Energy Policy hanno spiegato come ogni miglioramento nel campo dell’illuminazione, dalle candele alle lampadine a gas alle lampadine elettriche, abbia storicamente comportato un aumento complessivo dei consumi, piuttosto che una sua riduzione da parte della società. E lo stesso prevedono possa accadere con i diodi emettitori di luce (LED).

Il loro documento originale, dal titolo: “Solid-state lighting: an energy-economics perspective” è stato pubblicato nel 2010 e allora diede vita ad alcuni fraintendimenti: si pensava che i due ricercatori avessero dimostrato che una maggiore efficienza nell’illuminazione non generi alcun miglioramento per la società, perché non comporta né una riduzione dei consumi né una riduzione dei costi globali in illuminazione. In realtà, i due ricercatori sono tornati a parlarne sulle pagine di Energy Policy proprio per sfatare questa interpretazione e dimostrare che invece un vantaggio c’è: una maggiore disponibilità di luce comporta una maggiore produttività.

Il problema è che una maggiore produttività significa maggiori consumi. Si tratta del cosiddetto “effetto rebound”. Il costo per illuminare una lampadina LED è più basso rispetto ad una lampadina ad incandescenza, ma la tendenza è quella di reinvestire il risparmio ottenuto con l’efficienza in ulteriore consumo energetico. È un problema culturale: se riduciamo il consumo energetico di una data tecnologia, allora la useremo più spesso semplicemente perché abbiamo l’opportunità di farlo. Questa è la dura realtà.

Che sia il caso di promuovere educazione civica e sociale che punti al risparmio energetico e non solo dal punto di vista commerciale??

Noi crediamo di si.
Leggiamo e informiamoci.

lunedì 20 agosto 2012

Pannelli fotovoltaici riciclabili

Ecco finalmente la novita tecnico scientifica che aspettavamo con ansia:

Grazie ad un brevetto italo-svedese sarà adesso possibile produrre pannelli fotovoltaici completamente riciclabili al 100%, perché non contengono silicio o E.V.A.

L’utilizzo di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica è sicuramente un comportamento ecologico, perché si impiega una fonte rinnovabile, come il sole, senza ricorrere a combustibili fossili e produrre inquinamento con emissioni in atmosfera.

pannelli fotovoltaici riciclabiliEppure, al termine del loro seppur lungo ciclo di vita, che si calcola mediamente intorno ai 20 – 25 anni, per i pannelli fotovoltaici, si presenta il problema dello smaltimento, perché sono realizzati con prodotti altamente inquinanti, come il silicio e l’E.V.A.(etil – vinil - acetato).

A tal proposito la Comunità Europea ha dato precise disposizioni in merito, affermando che i pannelli devono essere considerati alla stregua di rifiuti elettrici ed elettronici e come tali devono essere smaltiti seguendo la normativa vigente.

Ad esempio l’ E.V.A. è un materiale che non può essere riutilizzato, ma deve essere bruciato in un altoforno, con conseguente elevato impatto ambientale dovuto alle emissioni di gas contenenti acidi acetici.
Questo materiale viene posto in un sottile strato tra le celle fotovoltaiche e il vetro in modo da isolare la parte elettricamente attiva dal resto del modulo. In realtà ogni pannello ne contiene una piccola quantità ma, poiché i pannelli che si smaltiscono sono ormai tanti, il problema si pone.

Questi aspetti rappresentano spesso argomento di critiche da parte dei detrattori della tecnologia fotovoltaica. Anche perché si calcola che nel 2020 circa 35.000 tonnellate di pannelli fotovoltaici saranno obsoleti e destinati a discarica, con notevole impatto sull’ambiente.

Grazie ad un brevetto italo – svedese sarà adesso possibile produrre pannelli fotovoltaici completamente riciclabili al 100%, perché non contengono silicio o E.V.A. 

e ora fotovoltaico ecologico per tutti!


per chi volesse i dettagli e la caratteristiche tecniche:  http://www.lavorincasa.it/articoli/in/impianti/pannelli-fotovoltaici-riciclabili/

venerdì 17 agosto 2012

Le tasse di un imprenditore in Italia

Occhiuto_UDC.jpg
"Esempio di ditta individuale con un unico dipendente.
Nel caso della ricerca della Cgia di Mestre si trattava nello specifico di un installatore di impianti che lavora in proprio.

Su un reddito annuo di 29.321 euro il totale versato in tasse ammonta a 15.849 euro.
Le voci nel dettaglio prevedono:
contributi previdenziali 5.845
IRPEF 5.135
addizionali IRPEF 364
IRAP 1.334
IMU 1378
INAIL 482
CCIAA 88
bollo furgone 146
imposta / tariffa sulla PUBBLICITA' 81
TASSA / TARIFFA rifiuti 997

a queste si devono aggiungere l'Iva che devi pagare in anticipo anche se non la incassi! ...anche l'irpef e addizionali li paghi in anticipo!
e se non rispetti gli studi di settore ti arriva un accertamento "induttivo" e sta a te dimostrare che hai ragione! Fare gli imprenditori in Italia è molto rischioso!".

Dal blog di Beppe Grillo

giovedì 16 agosto 2012

Video di chi ha lottato contro l'inceneritore a Parma. Grazie.


La pubblicazione da parte di ParmaDaily del Piano Economico e Finanziario dell’inceneritore di Parma (finora tenuto nascosto da Iren e negato ai tanti cittadini che ne hanno fatto richiesta) ha rivelato gli altissimi margini che Iren intende realizzare nello smaltimento dei rifiuti incidendo sulle tariffe dei parmigiani.
I  dati hanno convinto anche gli ultimi “irriducibili” del forno (ovviamente non quelli interessati) della non economicità dell’impianto e dei fini speculativi del gestore che arriverebbe ad ottenere un utile netto di 13 milioni all'anno (pari al 25,6% dei ricavi!) con tariffe a carico dei cittadini di gran lunga superiori a quelle applicate in altre province. Cade così anche l'ultimo inganno, ovvero quello che i parmigiani si sarebbero ritrovati più soldi in tasca grazie all'inceneritore!
L’inutilità del forno i parmigiani l'avevano già compresa da tempo, come ha rivelato in modo inequivocabile il voto del ballottaggio delle elezioni comunali di maggio.
Per ringraziarli per l'impegno di tutti questi anni, ParmaDaily ha realizzato un video sui protagonisti della battaglia contro l'inceneritore pubblicando i loro nomi e le loro foto, a partire da quelli del presidente del GCR Aldo Caffagnini … eh sì, sono loro “il più grande spettacolo dopo il Big Bang” (Lorenzo Jovanotti)!


http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=yc5Px5TLEqc

sicuramente oltre a chi incluso nel video, ci saranno tante altre persone che hanno partecipato alla lotta per la vera informazione contro l'inceneritore; chi ha manifestato, chi ha scritto articoli di giornale e chi ha parlato alla gente, o chi come noi che ha scritto sui Blog della rete libera.

a tutti, GRAZIE.


Il programma europeo GreenLight

vorremmo segnalare questo progetto Europeo:

Il programma europeo GreenLight: 
Incoraggiare l’installazione dell’illuminazione energeticamente efficiente

http://www.eu-greenlight.org/What-to-do/what_CosaFare.htm

Che cosa è il progetto, e come partecipare:

http://www.eu-greenlight.org/What-to-do/what_CosaFare.htm

Il Programma GreenLight è un’iniziativa volontaria di prevenzione dell’inquinamento che vuole incoraggiare i consumatori non residenziali (pubblici e privati) di elettricità, definiti Partecipanti, a impegnarsi nei confronti della Commissione Europea ad installare nei propri edifici tecnologie d’illuminazione efficienti da un punto di vista energetico ogniqualvolta siano economicamente convenienti, mantenendo o migliorando la qualità dell’illuminazione. Il Programma GreenLight è stato avviato il 7 febbraio 2000 dalla Direzione Generale Energia e Trasporti  - DG TREN - della Commissione Europea.
L’obiettivo del Programma GreenLight è ridurre il consumo di energia per illuminazione interna ed esterna in tutta Europa, ottenendo così una riduzione delle emissioni inquinanti e un contenimento del riscaldamento globale. Ulteriore obiettivo è anche il miglioramento della qualità delle condizioni di illuminazione, mentre si riducono i costi di esercizio. 


Risparmiamo energia per un mondo che non ha bisogno di nuove centrali.
Non servono.

 

mercoledì 8 agosto 2012

Banda larga e fibra ottica, “l’alta velocità” che manca all’Italia

Se il Tav Torino-Lione costa all'Italia tra i 15 e e i 20 miliardi di euro, secondo il Ministero dello Sviluppo ne servono altrettanti (15) per collegare il "100% dei cittadini a 30 Mbps". In Corea e Giappone viaggiano tutti a banda ultralarga, che nel Belpaese copre solo il 10% del territorio. Ma può valere fino al 3% del Pil

Punti di Pil perduti, risparmi e posti di lavoro mancati. La fibra ottica o banda ultralarga (che viaggia a 100 megabit per secondo – Mbps, velocità superiore rispetto alla banda larga, definita tra i 2 e i 20 Mbps) non significa soltanto connessione a Internet ma prospettive di ricavi e di occupazione, specie in tempi di crisi. La sua diffusione, secondo la Commissaria europea per l’Agenda digitale Neelie Kroes, potrebbe valere un aumento dall’1 all’1,5% del Pil. Ancora più significative le stime elaborate dall’osservatorio “I costi del non fare” di Andrea Gilardoni della Bocconi di Milano, secondo cui la fibra ottica vale ogni anno fino al 2030 il 3% del Pil. Eppure per l’Italia rischia di essere un’occasione persa. Analfabetismo digitale e scarsa conoscenza delle potenzialità di Internet, da parte di aziende e utenti privati, generano il circolo vizioso per cui la banda ultralarga in Italia non decolla. Il costo è assimilabile a quello di una ‘grande opera’. Se il Tav Torino-Lione costa all’Italia tra i 15 e e i 20 miliardi di euro ne servono altrettanti (15) secondo l’Agenda digitale del Ministero dello Sviluppo per collegare il 100% dei cittadini a 30 Mbps e il 50% a 100 Mbps, come prevede l’Agenda digitale Europea. A investire sul piano della ultrabroadband il governo italiano (che ha ricevuto fondi europei per 440 milioni di euro) e i Fondi italiani per le infrastrutture F2i Tlc-Metroweb (partecipato da Cassa Depositi e Prestiti) che ha annunciato un piano da 4,5 miliardi di euro nei prossimi anni per coprire le 30 città maggiori. E poi gli operatori privati: 10 miliardi di euro (di cui 4 già investiti) per le reti di nuova generazione mobile e 500 milioni di Telecom per la banda larga. Il totale potrebbe coprire il costo dei 20 miliardi. Purtroppo però gli operatori, ad eccezione dello Stato, lavorano tra loro in sovrapposizione in zone in cui c’è già mercato, quindi implementano il servizio solo dove sono certi del ritorno degli investimenti.
Ragione per cui il presidente di Telecom Franco Bernabè ha specificato che non ci sarà alcuna accelerazione per la fibra ottica dato che “le indicazioni dell’Unione europea sono soltanto programmatiche”. L’ex monopolista prosegue nel suo piano di portare Internet ultraveloce in 99 città entro il 2014, che nel 2018 diventeranno 250, ma la velocità nelle case degli utenti potrebbe non superare i 50 Mbps. A Telecom si aggiunge il piano di F2i-Metroweb che intende portare la fibra a 100Mbps effettivi in 30 città. La prospettiva più realistica, quindi, è che tra alcuni anni appena il 20% della popolazione viaggerà ultraveloce, mentre solo un terzo delle famiglie italiane arriverà a 50 Mbit. A meno che la domanda di mercato non spinga gli operatori ad accelerare e a impiegare risorse per lo sviluppo della rete ultraveloce.
Eppure negli anni Sessanta, quando venne costruita l’Autostrada del Sole, non c’erano certezze sul ritorno economico. La prima azienda a caldeggiare la sua realizzazione è stata la Fiat, certa che l’infrastruttura avrebbe creato la domanda e aumentato la vendita delle auto. Una proiezione che si è rivelata corretta: gli italiani, viste anche le crescenti possibilità economiche, volevano viaggiare e spostarsi più rapidamente. Una logica valida anche per la fibra ottica: se fosse implementata su scala nazionale, gli utenti sarebbero invogliati a utilizzarla perché offrirebbe servizi migliori incrementando la qualità e la velocità di trasmissione dei dati.
LA COPERTURA DEL TERRITORIO – Eppure la fibra ottica in Italia è percepita come un lusso, più che come un investimento necessario per lo sviluppo. A oggi copre soltanto il 10% del territorio, mentre in Svizzera arriva al 90%. La Francia ambisce al 37% entro il 2015 e al 100% nel 2025. Giappone, Corea del Sud corrono al 100% sulla banda ultralarga. E l’Australia sta già adottando un piano di conversione a livello nazionale. In altri paesi europei, tra cui la Gran Bretagna, gli operatori privati hanno avviato ambiziosi piani di investimento, legati però ad aree remunerative. Scelte legate anche alla consapevolezza che un reale investimento nella ultrabroadband porterebbe risparmi per la pubblica amministrazione e le famiglie. Sul fronte italiano, Monti è volato nelle scorse settimane in Idaho per incontrare i guru della comunicazione e insieme a Passera, che all’assemblea di Confindustria ha definito “prioritaria” la banda larga, punta sull’urgenza dell’agenda digitale perché “l’innovazione consente di fare molte cose con minori risorse”. Tanto da avere proposto di tenere gli investimenti sulla banda larga fuori dal fiscal compact. Le speranze arrivano anche oltreoceano, visto che secondo il New York Times con Monti “gli italiani stanno vivendo un risveglio digitale a lungo atteso”.
A CHE PUNTO SIAMO OGGI? – Il decreto Digitalia, che doveva definire obiettivi e stanziamenti per la banda larga, da giugno è stato rimandato a settembre. A parte il ritardo istituzionale, secondo i dati diffusi ad aprile dalla Commissaria europea per l’Agenda digitale, Neelie Kroes, nel nostro paese l’alfabetizzazione digitale è molto arretrata. Oltre il 41% degli italiani, infatti, non è mai entrato in rete, il doppio o il triplo rispetto a Francia (24%), Germania (17%) e Regno Unito (10%). Infratel, però, la società del ministero dello Sviluppo che si occupa di portare i cavi e la connessione in aree dove il mercato non interviene per mancanza di redditività, spiega che al 30 giugno 2012 la diffusione della rete a banda larga (non fibra ottica) in Italia ha raggiunto il 95,2% complessivo della popolazione di cui circa il 3% utilizza connessione via smartphone (3G). Rimane escluso ‘solo’ il 4,8%, senza copertura o servito da tecnologia di bassa capacità come adsl fino a 640 kbs, ovvero “banda stretta”. Secondo questo dato, unito a quello fornito da Infratel, il 36,2% della popolazione avrebbe la possibilità di connettersi, ma preferisce non farlo.
RICAVI MANCATI – Eppure l’analfabetismo digitale sommato alla banda che manca costa al nostro paese tra l’1,5 e il 3% del Pil che potrebbe essere recuperato, ad esempio, con l’adozione di servizi di videocomunicazione avanzati che creano “realtà aumentata” – ovvero una realtà virtuale e tridimensionale applicata dalla chirurgia robotica alla geolocalizzazione – e semplificano sia il processo produttivo sia quello di apprendimento, riducendo anche la necessità della presenza fisica. E poi il cloud computing, ovvero il trasferimento dei dati su dispositivi remoti che rende le prestazioni flessibili e veloci. Senza contare che entro il 2015 il settore Ict darà lavoro in Europa a oltre 700mila persone. Numeri promettenti che delineano un panorama di business e occupazione importante sul quale, però, l’Italia non ha ancora deciso di realizzare un efficace piano di sviluppo. Secondo Confindustria digitale nei prossimi 3 anni, ad esempio, “il contributo della Internet economy al Pil passerà in Italia dal 2,1 al 3,5 %” e nei paesi dell’Unione europea l’impatto sarà ancor maggiore, “con un aumento dal 3,5 al 5,7%”. Inoltre per il suo presidente Stefano Parisi, ”solo il 4% delle imprese italiane effettua vendite direttamente on-line”. Anche se, aggiunge, “le stime indicano che in questi tre anni di crisi le aziende italiane che hanno puntato sul web sono cresciute in termini di fatturato mediamente del 5,7% in più rispetto alle imprese che sono rimaste off-line”. Stime che possono incidere sensibilmente sui bilanci aziendali. Confindustria digitale infatti ha calcolato che “se tutte le imprese italiane aumentassero solo dell’1% il loro fatturato attraverso le vendite on-line verso l’estero, le nostre esportazioni totali aumenterebbero dell’8% pareggiando il saldo import-export di beni e servizi”. Ragione che li ha spinti a proporre “una detassazione parziale dei ricavi delle piccole imprese da e-commerce internazionale e una semplificazione delle procedure per gli acquisti online delle Pmi”. Ma i guadagni non riguardano soltanto il comparto industriale: ”Un uso intensivo di internet può portare risparmi di più di 2mila euro a famiglia”, dai servizi offerti dal web all’home banking che, secondo uno studio pubblicato a marzo della Bcg (Boston Consulting Group) in Francia, Germania e Regno Unito aumentano a 4500 euro per famiglia. Importante anche l’entità del risparmio sulla spesa pubblica, dove “il completo switch off digitale delle pratiche amministrative e dell’acquisto di beni e servizi da parte delle Pubbliche Amministrazioni porterebbe risparmi per 13 miliardi di euro di spesa corrente all’anno”.
GRANDI OPERE E FIBRA OTTICA - Risparmi e possibilità di investimento capillari che tuttavia non sono ancora percepiti come “priorità” per il paese. “La Tav è stata concordata con altri partner, ma quante risorse pubbliche hanno drenato i settori come quello automobilistico, dell’energia, del digitale terrestre? O quanto denaro hanno dovuto pagare i cittadini sulle bollette energetiche dell’ammodernamento dei contatori elettronici, del finanziamento delle rinnovabili, dell’acquisto del decoder digitale in una logica di switch-off forzoso?”, domanda Cristoforo Morandini di Between-Osservatorio Banda Larga che ricorda anche il “gioco di interessi” ben oltre le decisioni della politica nel convogliare una ingente quantità di risorse in un unico settore, “seppur strategico e vitale per lo sviluppo”. Parlando di cifre, “portare realmente la fibra ottica a tutti gli italiani, anche nel più sperduto paesino presenta dei costi proibitivi, costa intorno ai 20 miliardi di euro. Attraverso l’utilizzo di diverse soluzioni tecnologiche e ponendosi l’obiettivo di superamento dei 30 mbps si può effettivamente pensare di raggiungere la meta con meno di 10 miliardi”. Secondo l’Adoc, ad esempio, solo per il passaggio al digitale terrestre gli italiani hanno speso oltre 2,5 miliardi. A soprendere sono i vantaggi dell’implementazione della fibra ottica anche se per realizzarla a livello nazionale, data la difficoltà culturale e delle infrastrutture, si dovrebbe “pensare a un piano decennale”. Già nell’arco di due-tre anni, però, “si possono ottenere ottimi risultati”, a differenza del Tav visto che, secondo un documento dell’Agenzia Nazionale per l’Ambiente francese, la “svolta importante” del progetto ci sarà “a partire dal 2030-2035″. L’ostacolo principale infatti non è la conformazione fisica del territorio, prosegue Morandini, ma le “economie di densità”. Ovvero la priorità a impiegare le risorse nelle zone più popolate, dove “è più rapido il ritorno degli investimenti” visto che “75%-80% dei lavori associati alla banda ultra larga sono di tipo civile, vale a dire scavi, ripristini, posa di cavidotti, allestimenti”.
DIGITAL DIVIDE CULTURALE - Aldilà delle infrastrutture però “non tutti i politici hanno la sensibilità e le competenze per affrontare un tema così complesso”, puntualizza Alfonso Fuggetta, docente del Politecnico di Milano e collaboratore de lavoce.info. E anche nel settore industriale la sensibilità è “a macchia di leopardo, dove le aziende che operano a livello internazionale, sollecitano la necessità di banda, a differenza di chi magari opera esclusivamente in Italia e ha il cliente sotto casa. Ma ci sono zone industriali in aree poco densamente popolate in cui il digital divide è il primo problema”. A concorrere nella realizzazione della banda e del servizio sono lo Stato e gli operatori privati e la questione non si limita a “Monti o Passera, ma agli ultimi dieci anni persi”. La prima a dovere sollecitare la domanda di banda (e velocità) dovrebbe essere “la pubblica amministrazione, ancora troppo legata al cartaceo. E dove, in molti casi, il servizio digitale offerto ai cittadini sembra un lusso, non un investimento”. Eppure “dieci anni fa eravamo all’avanguardia in Europa anche per la diffusione della fibra”. Ora, invece, è tempo di tornare a correre.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/06/litalia-della-banda-pil-mancato-richieste-delleuropa-e-italiani-poco-digitali/295655/

lunedì 6 agosto 2012

Segnala il tuo luogo del cuore Italiano

http://www.iluoghidelcuore.it/

L'obiettivo di "I Luoghi del Cuore" ("posti che amo") - il censimento nazionale promosso dal FAI - è quello di dare voce alle proposte sul patrimonio culturale d'Italia, e assicurargli un futuro. 
Per fare ciò, il censimento chiede ai cittadini di identificare i luoghi che sentono particolarmente cari e importanti e che desiderano possono essere ricordati e conservati per le generazioni future.  
L'appello si impegna a proteggere tesori grandi e piccoli, noti o meno noti che occupano un posto speciale nella vita di coloro che li hanno a cuore.

Segnala il tuo Luogo: http://www.iluoghidelcuore.it/segnala