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sabato 1 settembre 2012

Svelata la nuova strategia energetica nazionale, ma già puzza di vecchio

Una permessa è doverosa: la "Nuova Strategia energetica Nazionale" che emerge dalle indiscrezioni del Sole24Ore di oggi è assai più organica di quella che avevamo intuito nelle settimane scorse. Stando a quanto si può leggere sul quotidiano economico di Confindustria, l'efficienza energetica ad esempio ha di nuovo e finalmente un ruolo e non è poco. Inoltre gli obiettivi dichiarati di  «ridurre il gap di costo dell'energia, favorire la crescita sostenibile, migliorare sicurezza e indipendenza di approvvigionamento, raggiungere e superare i target Ue 2020», appaiono sulla carta condivisibili. Ma è nei dettagli (che poi dettagli non sono...) che il diavolo, come noto, mette la sua coda. Infatti questa strategia sta nel piano "crescita" dell'Italia e dunque ha come scopo quello di "fare Pil" e occupazione ed è qui che si misura la bontà dei provvedimenti. Giudicabili solo con il parametro della sostenibilità sociale e ambientale. Non solo economica, quindi, ma anche ecologica. E qui la scelta di investire negli idrocarburi nazionali e nelle infrastrutture per il gas (compreso lo stoccaggio) e ridurre fino a zero gli incentivi alle rinnovabili, sono una scelta di campo - che piacerà alle lobby petrolifere che sembrano i veri registi del piano - contraria a quello che è e dovrebbe essere ancora l'orizzonte di tutti: la progressiva uscita dall'utilizzo di fonti energetiche fossili verso quelle rinnovabili. Un vero dietrofront con pochissime giustificazioni se non quelle di brevissimo respiro e nessuna in prospettiva.
Ecco come il Sole presenta questo punto cardine della strategia: «Ambiziosi gli obiettivi sulla produzione nazionale di idrocarburi per liberarci da una dipendenza dall'estero intorno al 90%. Si punta a salire dall'8 al 16% del fabbisogno energetico nazionale mobilitando "investimenti per 15 miliardi di euro e circa 25mila posti di lavoro, e un risparmio sulla fattura energetica di circa 5 miliardi di euro l'anno per la riduzione di importazioni di combustibili fossili". Il documento cita in particolare cinque zone ad elevato potenziale: val Padana, Alto Adriatico, Abruzzo, Basilicata e off-shore Ibleo». Ed il guaio è che si intende ottenere questi risultati con un'azione assai discutibile che molto assomiglia a quanto fece il precedente governo quando tentò di imporre il ritorno al nucleare: «Si agirà sulla burocrazia, introducendo il titolo abilitativo unico, verranno rimodulati i limiti di tutela offshore e si valuterà l'opportunità di modifica dell'articolo 117 della Costituzione per riportare allo Stato la competenza in materia di energia almeno per quanto riguarda le infrastrutture strategiche». Insomma si farà di tutto per fare presto e senza intralci, sentiamo già forte l'odore di referendum sull'opportunità di trivellare il nostro già compromesso e sismico territorio che di tutto ha bisogno tranne che di essere ulteriormente colpito oltretutto per ottenere che cosa? Qualche punto di riduzione  della dipendenza energetica dall'estero italiana, ma ne vale la pena?
Se i dati pubblicati (e non smentiti da nessuno) da associazioni ambientaliste come Greenpeace, Legambiente e Wwf sono giusti, infatti, tutte le riserve italiane di petrolio sui fondali dei nostri mari servirebbero a soddisfare sette settimane di consumi, le intere riserve italiane potrebbero sopperire a meno di un anno del consumo nazionale... basterebbe spingere un po' di più sul risparmio energetico per evitare la "necessità" di rischiare così tanto per così poco.
Inoltre, se l'orizzonte, ribadiamo, è quello della progressiva uscita dall'utilizzo delle fonti energetiche fossili, questo è solo un rinvio che allora giustificherebbe un ritorno all'utilizzo del carbone e via a balzi verso l'800. Insomma, pur riconoscendo gli impegni nell'efficienza energetica e comprendendo l'idea di fare dell'Italia un hub del gas (con qualche riserva sul metodo, ma senza tabù), il taglio alle rinnovabili e il ritorno alle trivelle nazionali fanno puzzare già di vecchio la "nuova strategia".

Greenreport

Occorre guardare al futuro e pensare alle generazioni che si troveranno ad affrontare le cattive condizioni ambientali generate dal continuo consumo di idrocarburi.
Il futuro non è costruire nuove centrali per la produzione di energia elettrica.
Il futuro è investire affinchè case e uffici consumino meno.

La migliore produzione di energia, è il suo risparmio!

lunedì 27 agosto 2012

Aiuola mobile per le città

Aiuola mobile per le città

Alberi, piante, fioriere e comode panchine in legno: un micro-giardino “all-inclusive” tutto su un carrello, da posizionare e comodamente spostare nelle aree pedonali e sui marciapiedi delle città.
Per trovare l’ispirazione di questo progetto, il designer Matteo Cibic è partito dall’esperienza personale di giovane cresciuto nella grigia e caotica Milano. Nei suoi intendimenti, questa soluzione mobile, semplici e ingegnosa, potrebbe cambiare il volto dell’arredo urbano.
Accomodandosi sulle panchine del carrello, si potrà comunque rimanere in contatto con il mondo, grazie a connessione Wi-fi e caricabatterie con ingresso Usb. Luce sempre garantita, anche di sera, grazie a un adeguato impianto di illuminazione notturna.
La domanda sorge spontanea: che altro chiedere?
La risposta ci metterebbe in difficoltà. Nelle intenzioni di Cibic, si prevede di pagare una piccola quota per l’utilizzo dell’isola mobile.
Un prezzo simbolico, il cui contraltare però è significativo: ciascuno può ritagliarsi un albero sotto cui sedersi, e fare i propri comodi. Nelle nostre città, potrebbe in poco tempo non esser più un lusso.

mercoledì 22 agosto 2012

Val Venosta, asfalto “silenzioso” con vecchi pneumatici


I risultati dei test hanno mostrato come l'asfalto sia in grado di ridurre l'impatto acustico dei veicoli di 4 decibel


E se le barriere antirumore "restano valide, ma non possono essere costruite ovunque"? perché, “spesso separano zone abitate e disturbano l'immagine del paesaggio”, ecco che arriva una nuova tipologia di asfalto fonoassorbente, ricavato “da pneumatici fuori uso che, miscelati a composti bituminosi, generano un asfalto dalle ottime prestazioni antirumore”.

La lotta all'inquinamento acustico procede in Val Venosta. E con molta probabilità si punterà sul cosiddetto "asfalto silenzioso". I risultati dei test, conclusisi lo scorso  luglio, su questa nuova tipologia di asfalto fonoassorbente, ricavato da pneumatici fuori uso miscelati a composti bituminosi, sono stati decisamente positivi: l'asfalto è in grado di abbattere il rumore di 4 decibel. Un esito che, stando alle notizie diffuse, spingerà la Provincia ad applicare la nuova tecnologia in gran parte della rete stradale altoatesina come alternativa alle tradizionali, e ingombranti, barriere antirumore.

"Il segreto del composto che stiamo testando - spiega Paolo Montagner, direttore del Servizio strade - è che rende possibile la posa di un asfalto con coefficienti di aderenza superiori e minore rumorosità". E inoltre, nonostante necessiti di manutenzione e periodici interventi di nuova posa, il suo costo è all'incirca la metà rispetto a quello delle barriere antirumore. "In tempi difficili come questi - sottolinea l'assessore ai lavori pubblici Florian Mussner - mi sembra una motivazione più che valida: con meno impegno finanziario potremmo migliorare in maniera concreta il problema del rumore lungo le nostre strade".

martedì 21 agosto 2012

I LED consumano meno, ma NOI consumiamo meno??

Un’illuminazione più efficiente comporta un aumento di produttività, ma per l’effetto rebound, anche un aumento dei consumi


Due ricercatori, Jeff Tsao e Harry Sunders, del Breakthrough Insititute di Oakland, California, attraverso le pagine della rivista Energy Policy hanno spiegato come ogni miglioramento nel campo dell’illuminazione, dalle candele alle lampadine a gas alle lampadine elettriche, abbia storicamente comportato un aumento complessivo dei consumi, piuttosto che una sua riduzione da parte della società. E lo stesso prevedono possa accadere con i diodi emettitori di luce (LED).

Il loro documento originale, dal titolo: “Solid-state lighting: an energy-economics perspective” è stato pubblicato nel 2010 e allora diede vita ad alcuni fraintendimenti: si pensava che i due ricercatori avessero dimostrato che una maggiore efficienza nell’illuminazione non generi alcun miglioramento per la società, perché non comporta né una riduzione dei consumi né una riduzione dei costi globali in illuminazione. In realtà, i due ricercatori sono tornati a parlarne sulle pagine di Energy Policy proprio per sfatare questa interpretazione e dimostrare che invece un vantaggio c’è: una maggiore disponibilità di luce comporta una maggiore produttività.

Il problema è che una maggiore produttività significa maggiori consumi. Si tratta del cosiddetto “effetto rebound”. Il costo per illuminare una lampadina LED è più basso rispetto ad una lampadina ad incandescenza, ma la tendenza è quella di reinvestire il risparmio ottenuto con l’efficienza in ulteriore consumo energetico. È un problema culturale: se riduciamo il consumo energetico di una data tecnologia, allora la useremo più spesso semplicemente perché abbiamo l’opportunità di farlo. Questa è la dura realtà.

Che sia il caso di promuovere educazione civica e sociale che punti al risparmio energetico e non solo dal punto di vista commerciale??

Noi crediamo di si.
Leggiamo e informiamoci.

lunedì 20 agosto 2012

Pannelli fotovoltaici riciclabili

Ecco finalmente la novita tecnico scientifica che aspettavamo con ansia:

Grazie ad un brevetto italo-svedese sarà adesso possibile produrre pannelli fotovoltaici completamente riciclabili al 100%, perché non contengono silicio o E.V.A.

L’utilizzo di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica è sicuramente un comportamento ecologico, perché si impiega una fonte rinnovabile, come il sole, senza ricorrere a combustibili fossili e produrre inquinamento con emissioni in atmosfera.

pannelli fotovoltaici riciclabiliEppure, al termine del loro seppur lungo ciclo di vita, che si calcola mediamente intorno ai 20 – 25 anni, per i pannelli fotovoltaici, si presenta il problema dello smaltimento, perché sono realizzati con prodotti altamente inquinanti, come il silicio e l’E.V.A.(etil – vinil - acetato).

A tal proposito la Comunità Europea ha dato precise disposizioni in merito, affermando che i pannelli devono essere considerati alla stregua di rifiuti elettrici ed elettronici e come tali devono essere smaltiti seguendo la normativa vigente.

Ad esempio l’ E.V.A. è un materiale che non può essere riutilizzato, ma deve essere bruciato in un altoforno, con conseguente elevato impatto ambientale dovuto alle emissioni di gas contenenti acidi acetici.
Questo materiale viene posto in un sottile strato tra le celle fotovoltaiche e il vetro in modo da isolare la parte elettricamente attiva dal resto del modulo. In realtà ogni pannello ne contiene una piccola quantità ma, poiché i pannelli che si smaltiscono sono ormai tanti, il problema si pone.

Questi aspetti rappresentano spesso argomento di critiche da parte dei detrattori della tecnologia fotovoltaica. Anche perché si calcola che nel 2020 circa 35.000 tonnellate di pannelli fotovoltaici saranno obsoleti e destinati a discarica, con notevole impatto sull’ambiente.

Grazie ad un brevetto italo – svedese sarà adesso possibile produrre pannelli fotovoltaici completamente riciclabili al 100%, perché non contengono silicio o E.V.A. 

e ora fotovoltaico ecologico per tutti!


per chi volesse i dettagli e la caratteristiche tecniche:  http://www.lavorincasa.it/articoli/in/impianti/pannelli-fotovoltaici-riciclabili/

venerdì 17 agosto 2012

Le tasse di un imprenditore in Italia

Occhiuto_UDC.jpg
"Esempio di ditta individuale con un unico dipendente.
Nel caso della ricerca della Cgia di Mestre si trattava nello specifico di un installatore di impianti che lavora in proprio.

Su un reddito annuo di 29.321 euro il totale versato in tasse ammonta a 15.849 euro.
Le voci nel dettaglio prevedono:
contributi previdenziali 5.845
IRPEF 5.135
addizionali IRPEF 364
IRAP 1.334
IMU 1378
INAIL 482
CCIAA 88
bollo furgone 146
imposta / tariffa sulla PUBBLICITA' 81
TASSA / TARIFFA rifiuti 997

a queste si devono aggiungere l'Iva che devi pagare in anticipo anche se non la incassi! ...anche l'irpef e addizionali li paghi in anticipo!
e se non rispetti gli studi di settore ti arriva un accertamento "induttivo" e sta a te dimostrare che hai ragione! Fare gli imprenditori in Italia è molto rischioso!".

Dal blog di Beppe Grillo

giovedì 16 agosto 2012

Video di chi ha lottato contro l'inceneritore a Parma. Grazie.


La pubblicazione da parte di ParmaDaily del Piano Economico e Finanziario dell’inceneritore di Parma (finora tenuto nascosto da Iren e negato ai tanti cittadini che ne hanno fatto richiesta) ha rivelato gli altissimi margini che Iren intende realizzare nello smaltimento dei rifiuti incidendo sulle tariffe dei parmigiani.
I  dati hanno convinto anche gli ultimi “irriducibili” del forno (ovviamente non quelli interessati) della non economicità dell’impianto e dei fini speculativi del gestore che arriverebbe ad ottenere un utile netto di 13 milioni all'anno (pari al 25,6% dei ricavi!) con tariffe a carico dei cittadini di gran lunga superiori a quelle applicate in altre province. Cade così anche l'ultimo inganno, ovvero quello che i parmigiani si sarebbero ritrovati più soldi in tasca grazie all'inceneritore!
L’inutilità del forno i parmigiani l'avevano già compresa da tempo, come ha rivelato in modo inequivocabile il voto del ballottaggio delle elezioni comunali di maggio.
Per ringraziarli per l'impegno di tutti questi anni, ParmaDaily ha realizzato un video sui protagonisti della battaglia contro l'inceneritore pubblicando i loro nomi e le loro foto, a partire da quelli del presidente del GCR Aldo Caffagnini … eh sì, sono loro “il più grande spettacolo dopo il Big Bang” (Lorenzo Jovanotti)!


http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=yc5Px5TLEqc

sicuramente oltre a chi incluso nel video, ci saranno tante altre persone che hanno partecipato alla lotta per la vera informazione contro l'inceneritore; chi ha manifestato, chi ha scritto articoli di giornale e chi ha parlato alla gente, o chi come noi che ha scritto sui Blog della rete libera.

a tutti, GRAZIE.


Il programma europeo GreenLight

vorremmo segnalare questo progetto Europeo:

Il programma europeo GreenLight: 
Incoraggiare l’installazione dell’illuminazione energeticamente efficiente

http://www.eu-greenlight.org/What-to-do/what_CosaFare.htm

Che cosa è il progetto, e come partecipare:

http://www.eu-greenlight.org/What-to-do/what_CosaFare.htm

Il Programma GreenLight è un’iniziativa volontaria di prevenzione dell’inquinamento che vuole incoraggiare i consumatori non residenziali (pubblici e privati) di elettricità, definiti Partecipanti, a impegnarsi nei confronti della Commissione Europea ad installare nei propri edifici tecnologie d’illuminazione efficienti da un punto di vista energetico ogniqualvolta siano economicamente convenienti, mantenendo o migliorando la qualità dell’illuminazione. Il Programma GreenLight è stato avviato il 7 febbraio 2000 dalla Direzione Generale Energia e Trasporti  - DG TREN - della Commissione Europea.
L’obiettivo del Programma GreenLight è ridurre il consumo di energia per illuminazione interna ed esterna in tutta Europa, ottenendo così una riduzione delle emissioni inquinanti e un contenimento del riscaldamento globale. Ulteriore obiettivo è anche il miglioramento della qualità delle condizioni di illuminazione, mentre si riducono i costi di esercizio. 


Risparmiamo energia per un mondo che non ha bisogno di nuove centrali.
Non servono.

 

mercoledì 8 agosto 2012

Banda larga e fibra ottica, “l’alta velocità” che manca all’Italia

Se il Tav Torino-Lione costa all'Italia tra i 15 e e i 20 miliardi di euro, secondo il Ministero dello Sviluppo ne servono altrettanti (15) per collegare il "100% dei cittadini a 30 Mbps". In Corea e Giappone viaggiano tutti a banda ultralarga, che nel Belpaese copre solo il 10% del territorio. Ma può valere fino al 3% del Pil

Punti di Pil perduti, risparmi e posti di lavoro mancati. La fibra ottica o banda ultralarga (che viaggia a 100 megabit per secondo – Mbps, velocità superiore rispetto alla banda larga, definita tra i 2 e i 20 Mbps) non significa soltanto connessione a Internet ma prospettive di ricavi e di occupazione, specie in tempi di crisi. La sua diffusione, secondo la Commissaria europea per l’Agenda digitale Neelie Kroes, potrebbe valere un aumento dall’1 all’1,5% del Pil. Ancora più significative le stime elaborate dall’osservatorio “I costi del non fare” di Andrea Gilardoni della Bocconi di Milano, secondo cui la fibra ottica vale ogni anno fino al 2030 il 3% del Pil. Eppure per l’Italia rischia di essere un’occasione persa. Analfabetismo digitale e scarsa conoscenza delle potenzialità di Internet, da parte di aziende e utenti privati, generano il circolo vizioso per cui la banda ultralarga in Italia non decolla. Il costo è assimilabile a quello di una ‘grande opera’. Se il Tav Torino-Lione costa all’Italia tra i 15 e e i 20 miliardi di euro ne servono altrettanti (15) secondo l’Agenda digitale del Ministero dello Sviluppo per collegare il 100% dei cittadini a 30 Mbps e il 50% a 100 Mbps, come prevede l’Agenda digitale Europea. A investire sul piano della ultrabroadband il governo italiano (che ha ricevuto fondi europei per 440 milioni di euro) e i Fondi italiani per le infrastrutture F2i Tlc-Metroweb (partecipato da Cassa Depositi e Prestiti) che ha annunciato un piano da 4,5 miliardi di euro nei prossimi anni per coprire le 30 città maggiori. E poi gli operatori privati: 10 miliardi di euro (di cui 4 già investiti) per le reti di nuova generazione mobile e 500 milioni di Telecom per la banda larga. Il totale potrebbe coprire il costo dei 20 miliardi. Purtroppo però gli operatori, ad eccezione dello Stato, lavorano tra loro in sovrapposizione in zone in cui c’è già mercato, quindi implementano il servizio solo dove sono certi del ritorno degli investimenti.
Ragione per cui il presidente di Telecom Franco Bernabè ha specificato che non ci sarà alcuna accelerazione per la fibra ottica dato che “le indicazioni dell’Unione europea sono soltanto programmatiche”. L’ex monopolista prosegue nel suo piano di portare Internet ultraveloce in 99 città entro il 2014, che nel 2018 diventeranno 250, ma la velocità nelle case degli utenti potrebbe non superare i 50 Mbps. A Telecom si aggiunge il piano di F2i-Metroweb che intende portare la fibra a 100Mbps effettivi in 30 città. La prospettiva più realistica, quindi, è che tra alcuni anni appena il 20% della popolazione viaggerà ultraveloce, mentre solo un terzo delle famiglie italiane arriverà a 50 Mbit. A meno che la domanda di mercato non spinga gli operatori ad accelerare e a impiegare risorse per lo sviluppo della rete ultraveloce.
Eppure negli anni Sessanta, quando venne costruita l’Autostrada del Sole, non c’erano certezze sul ritorno economico. La prima azienda a caldeggiare la sua realizzazione è stata la Fiat, certa che l’infrastruttura avrebbe creato la domanda e aumentato la vendita delle auto. Una proiezione che si è rivelata corretta: gli italiani, viste anche le crescenti possibilità economiche, volevano viaggiare e spostarsi più rapidamente. Una logica valida anche per la fibra ottica: se fosse implementata su scala nazionale, gli utenti sarebbero invogliati a utilizzarla perché offrirebbe servizi migliori incrementando la qualità e la velocità di trasmissione dei dati.
LA COPERTURA DEL TERRITORIO – Eppure la fibra ottica in Italia è percepita come un lusso, più che come un investimento necessario per lo sviluppo. A oggi copre soltanto il 10% del territorio, mentre in Svizzera arriva al 90%. La Francia ambisce al 37% entro il 2015 e al 100% nel 2025. Giappone, Corea del Sud corrono al 100% sulla banda ultralarga. E l’Australia sta già adottando un piano di conversione a livello nazionale. In altri paesi europei, tra cui la Gran Bretagna, gli operatori privati hanno avviato ambiziosi piani di investimento, legati però ad aree remunerative. Scelte legate anche alla consapevolezza che un reale investimento nella ultrabroadband porterebbe risparmi per la pubblica amministrazione e le famiglie. Sul fronte italiano, Monti è volato nelle scorse settimane in Idaho per incontrare i guru della comunicazione e insieme a Passera, che all’assemblea di Confindustria ha definito “prioritaria” la banda larga, punta sull’urgenza dell’agenda digitale perché “l’innovazione consente di fare molte cose con minori risorse”. Tanto da avere proposto di tenere gli investimenti sulla banda larga fuori dal fiscal compact. Le speranze arrivano anche oltreoceano, visto che secondo il New York Times con Monti “gli italiani stanno vivendo un risveglio digitale a lungo atteso”.
A CHE PUNTO SIAMO OGGI? – Il decreto Digitalia, che doveva definire obiettivi e stanziamenti per la banda larga, da giugno è stato rimandato a settembre. A parte il ritardo istituzionale, secondo i dati diffusi ad aprile dalla Commissaria europea per l’Agenda digitale, Neelie Kroes, nel nostro paese l’alfabetizzazione digitale è molto arretrata. Oltre il 41% degli italiani, infatti, non è mai entrato in rete, il doppio o il triplo rispetto a Francia (24%), Germania (17%) e Regno Unito (10%). Infratel, però, la società del ministero dello Sviluppo che si occupa di portare i cavi e la connessione in aree dove il mercato non interviene per mancanza di redditività, spiega che al 30 giugno 2012 la diffusione della rete a banda larga (non fibra ottica) in Italia ha raggiunto il 95,2% complessivo della popolazione di cui circa il 3% utilizza connessione via smartphone (3G). Rimane escluso ‘solo’ il 4,8%, senza copertura o servito da tecnologia di bassa capacità come adsl fino a 640 kbs, ovvero “banda stretta”. Secondo questo dato, unito a quello fornito da Infratel, il 36,2% della popolazione avrebbe la possibilità di connettersi, ma preferisce non farlo.
RICAVI MANCATI – Eppure l’analfabetismo digitale sommato alla banda che manca costa al nostro paese tra l’1,5 e il 3% del Pil che potrebbe essere recuperato, ad esempio, con l’adozione di servizi di videocomunicazione avanzati che creano “realtà aumentata” – ovvero una realtà virtuale e tridimensionale applicata dalla chirurgia robotica alla geolocalizzazione – e semplificano sia il processo produttivo sia quello di apprendimento, riducendo anche la necessità della presenza fisica. E poi il cloud computing, ovvero il trasferimento dei dati su dispositivi remoti che rende le prestazioni flessibili e veloci. Senza contare che entro il 2015 il settore Ict darà lavoro in Europa a oltre 700mila persone. Numeri promettenti che delineano un panorama di business e occupazione importante sul quale, però, l’Italia non ha ancora deciso di realizzare un efficace piano di sviluppo. Secondo Confindustria digitale nei prossimi 3 anni, ad esempio, “il contributo della Internet economy al Pil passerà in Italia dal 2,1 al 3,5 %” e nei paesi dell’Unione europea l’impatto sarà ancor maggiore, “con un aumento dal 3,5 al 5,7%”. Inoltre per il suo presidente Stefano Parisi, ”solo il 4% delle imprese italiane effettua vendite direttamente on-line”. Anche se, aggiunge, “le stime indicano che in questi tre anni di crisi le aziende italiane che hanno puntato sul web sono cresciute in termini di fatturato mediamente del 5,7% in più rispetto alle imprese che sono rimaste off-line”. Stime che possono incidere sensibilmente sui bilanci aziendali. Confindustria digitale infatti ha calcolato che “se tutte le imprese italiane aumentassero solo dell’1% il loro fatturato attraverso le vendite on-line verso l’estero, le nostre esportazioni totali aumenterebbero dell’8% pareggiando il saldo import-export di beni e servizi”. Ragione che li ha spinti a proporre “una detassazione parziale dei ricavi delle piccole imprese da e-commerce internazionale e una semplificazione delle procedure per gli acquisti online delle Pmi”. Ma i guadagni non riguardano soltanto il comparto industriale: ”Un uso intensivo di internet può portare risparmi di più di 2mila euro a famiglia”, dai servizi offerti dal web all’home banking che, secondo uno studio pubblicato a marzo della Bcg (Boston Consulting Group) in Francia, Germania e Regno Unito aumentano a 4500 euro per famiglia. Importante anche l’entità del risparmio sulla spesa pubblica, dove “il completo switch off digitale delle pratiche amministrative e dell’acquisto di beni e servizi da parte delle Pubbliche Amministrazioni porterebbe risparmi per 13 miliardi di euro di spesa corrente all’anno”.
GRANDI OPERE E FIBRA OTTICA - Risparmi e possibilità di investimento capillari che tuttavia non sono ancora percepiti come “priorità” per il paese. “La Tav è stata concordata con altri partner, ma quante risorse pubbliche hanno drenato i settori come quello automobilistico, dell’energia, del digitale terrestre? O quanto denaro hanno dovuto pagare i cittadini sulle bollette energetiche dell’ammodernamento dei contatori elettronici, del finanziamento delle rinnovabili, dell’acquisto del decoder digitale in una logica di switch-off forzoso?”, domanda Cristoforo Morandini di Between-Osservatorio Banda Larga che ricorda anche il “gioco di interessi” ben oltre le decisioni della politica nel convogliare una ingente quantità di risorse in un unico settore, “seppur strategico e vitale per lo sviluppo”. Parlando di cifre, “portare realmente la fibra ottica a tutti gli italiani, anche nel più sperduto paesino presenta dei costi proibitivi, costa intorno ai 20 miliardi di euro. Attraverso l’utilizzo di diverse soluzioni tecnologiche e ponendosi l’obiettivo di superamento dei 30 mbps si può effettivamente pensare di raggiungere la meta con meno di 10 miliardi”. Secondo l’Adoc, ad esempio, solo per il passaggio al digitale terrestre gli italiani hanno speso oltre 2,5 miliardi. A soprendere sono i vantaggi dell’implementazione della fibra ottica anche se per realizzarla a livello nazionale, data la difficoltà culturale e delle infrastrutture, si dovrebbe “pensare a un piano decennale”. Già nell’arco di due-tre anni, però, “si possono ottenere ottimi risultati”, a differenza del Tav visto che, secondo un documento dell’Agenzia Nazionale per l’Ambiente francese, la “svolta importante” del progetto ci sarà “a partire dal 2030-2035″. L’ostacolo principale infatti non è la conformazione fisica del territorio, prosegue Morandini, ma le “economie di densità”. Ovvero la priorità a impiegare le risorse nelle zone più popolate, dove “è più rapido il ritorno degli investimenti” visto che “75%-80% dei lavori associati alla banda ultra larga sono di tipo civile, vale a dire scavi, ripristini, posa di cavidotti, allestimenti”.
DIGITAL DIVIDE CULTURALE - Aldilà delle infrastrutture però “non tutti i politici hanno la sensibilità e le competenze per affrontare un tema così complesso”, puntualizza Alfonso Fuggetta, docente del Politecnico di Milano e collaboratore de lavoce.info. E anche nel settore industriale la sensibilità è “a macchia di leopardo, dove le aziende che operano a livello internazionale, sollecitano la necessità di banda, a differenza di chi magari opera esclusivamente in Italia e ha il cliente sotto casa. Ma ci sono zone industriali in aree poco densamente popolate in cui il digital divide è il primo problema”. A concorrere nella realizzazione della banda e del servizio sono lo Stato e gli operatori privati e la questione non si limita a “Monti o Passera, ma agli ultimi dieci anni persi”. La prima a dovere sollecitare la domanda di banda (e velocità) dovrebbe essere “la pubblica amministrazione, ancora troppo legata al cartaceo. E dove, in molti casi, il servizio digitale offerto ai cittadini sembra un lusso, non un investimento”. Eppure “dieci anni fa eravamo all’avanguardia in Europa anche per la diffusione della fibra”. Ora, invece, è tempo di tornare a correre.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/06/litalia-della-banda-pil-mancato-richieste-delleuropa-e-italiani-poco-digitali/295655/

lunedì 6 agosto 2012

Segnala il tuo luogo del cuore Italiano

http://www.iluoghidelcuore.it/

L'obiettivo di "I Luoghi del Cuore" ("posti che amo") - il censimento nazionale promosso dal FAI - è quello di dare voce alle proposte sul patrimonio culturale d'Italia, e assicurargli un futuro. 
Per fare ciò, il censimento chiede ai cittadini di identificare i luoghi che sentono particolarmente cari e importanti e che desiderano possono essere ricordati e conservati per le generazioni future.  
L'appello si impegna a proteggere tesori grandi e piccoli, noti o meno noti che occupano un posto speciale nella vita di coloro che li hanno a cuore.

Segnala il tuo Luogo: http://www.iluoghidelcuore.it/segnala

mercoledì 25 luglio 2012

Cittadinanzattiva: online la guida sul risparmio energetico



Cittadinanzattiva prosegue la pubblicazione della collana di cinque guide informative dedicate all’energia elettrica e al gas, alla lettura della bolletta, al mercato dell’energia, agli strumenti di tutela e al risparmio energetico. Oggi è la volta della quarta guida, tutta dedicata al risparmio energetico, che può essere scaricata direttamente dal sito dell’associazione.


Una pubblicazione che intende chiarire ai consumatori cosa si intende per efficienza energetica e quali sono le informazioni  e i consigli da sapere per consumare meglio, quali sono e a quanto ammontano le agevolazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici esistenti, e ancora, quali le principali fonti energetiche e a cosa fa riferimento il bilancio energetico nazionale, come diventare “produttori” di energia e in cosa consiste il conto energia. Tutte informazioni che i consumatori potranno trovare per cercare di avere maggiori informazioni su un settore, quello dell’energia, a volte percepito come troppo complicato.

L’iniziativa di Cittadinanzattiva vuole infatti offrire il maggior numero di informazioni su un settore che, in seguito alle liberalizzazioni, permette di scegliere il fornitore di gas e di energia elettrica. Nonostante le novità, ormai varate da tempo, sono però  ancora molti i cittadini alle prese con la scarsa conoscenza e la diffidenza nei confronti del mercato libero dell’energia.

Buona lettura!!

martedì 24 luglio 2012

“Referendum contro la casta” : BUFALA!!!

"Molte persone ci chiedono come firmare i “referendum contro la casta”, o addirittura perché il Movimento 5 Stelle non stia raccogliendo le firme. Per questo vorrei chiarire che questi referendum, allo stato attuale delle cose, sono una bufala! Perché? Il referendum abrogativo è regolato da alcuni articoli della legge 352 del 1970 che fanno sì che le firme raccolte in questo periodo siano nulle e inutilizzabili.
Ma qui a Torino abbiamo anche un’altra esperienza: ricorderete quel Renzo Rabellino che riesce a far eleggere consiglieri qua e là con coalizioni di liste improbabili, come Grilli Parlanti, Lega Padana e Forza Toro. È ormai appurato che molte persone che avevano firmato per presentare petizioni contro il canone Rai o contro le strisce blu - persino personaggi famosi come Luciana Littizzetto - avevano ritrovato la propria firma magicamente apposta sotto le liste elettorali di Rabellino. È per questo che mi permetto di sospettare che tutte queste centinaia di migliaia di italiani che ora corrono a firmare fogli dal primo che passa per “far finire questo schifo dei politici” potrebbero a loro insaputa, l’anno prossimo, presentare alle elezioni politiche le liste di qualche nuovo partito pieno di riciclati!" Vittorio Bertola, consigliere MoVimento 5 Stelle, Torino

dal Blog di Beppe:  http://www.beppegrillo.it/2012/07/i_referendum_anti-casta_sono_una_bufala.html

La Camera approva Fiscal Compact e Mes: inizia la dittatura europea.

Venerdi mattina alla Camera dei deputati è stata scritta la sentenza di fine sovranità dello Stato italiano. Nel silenzio totale dei mezzi di comunicazione i Deputati dell’oramai ex Belpaese hanno dato il via libera definitivo alla ratifica del Trattato sulla stabilita’, sul coordinamento e sulla governance nell’Ue, meglio conosciuto come Fiscal Compact, sottoscritto il 2 marzo e integralmente applicabile ai 17 Stati della zona euro e al Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), al secolo “fondo salva stati”.
I si’ per il Fiscal Compact sono stati 380, 59 i no, 36 gli astenuti, quelli per il Mes sono stati 325 si’, 53 no e 36 astenuti. Solo la Lega ha votato contro; l’Idv si e’ astenuta.
...
cosa sono il Fiscal Compact e il Mes.


Il Fiscal Compact
Il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria (cd. Fiscal Compact) – oggetto del ddl di ratifica A.C. 5358, approvato dal Senato il 12 luglio scorso – è stato firmato in occasione del Consiglio europeo dell’1-2 marzo 2012 da tutti gli Stati membri dell’UE ad eccezione di Regno Unito e Repubblica ceca.
Il Trattato incorpora ed integra in una cornice unitaria alcune delle regole di finanza pubblica e delle procedure per il coordinamento delle politiche economiche in gran parte già introdotte o in via di introduzione in via legislativa.
Tra i punti principali del Trattato si segnalano:
1) l’impegno delle parti contraenti ad applicare e ad introdurre, entro un anno dall’entrata in vigore del trattato, con norme costituzionali o di rango equivalente, la “regola aurea” per cui il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo;
2) qualora il rapporto debito pubblico/PIL superi la misura del 60%, le parti contraenti si impegnano a ridurlo mediamente di 1/20 all’anno per la parte eccedente tale misura. Il ritmo di riduzione, tuttavia, dovrà tener conto di alcuni fattori rilevanti, quali la sostenibilità dei sistemi pensionistici e il livello di indebitamento del settore privato;
3) le parti contraenti si impegnano a coordinare meglio la collocazione dei titoli di debito pubblico, riferendo preventivamente alla Commissione e al Consiglio sui piani di emissione dei titoli di debito;
4) qualsiasi parte contraente che consideri un’altra parte contraente inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dal patto di bilancio può adire la Corte di giustizia dell’UE, anche in assenza di un rapporto di valutazione della Commissione europea;
5) le parti contraenti possono a fare ricorso, alle cooperazioni rafforzate nei settori che sono essenziali per il buon funzionamento dell’Eurozona, senza tuttavia recare pregiudizio al mercato interno;
6) i Capi di Stato e di governo delle parti contraenti la cui moneta è l’euro si riuniscono informalmente in un Euro Summit, insieme con il Presidente della Commissione europea;
7) il Parlamento europeo ed i Parlamenti nazionali degli Stati aderenti, come previsto dal Titolo II del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali allegato al TFUE, determineranno insieme l’organizzazione e la promozione di una conferenza dei presidenti delle Commissioni competenti dei parlamenti nazionali e delle competenti Commissioni del PE, al fine di dibattere le questioni connesse al ordinamento delle politiche economiche.
Il Trattato entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo al deposito del dodicesimo strumento di ratifica di uno Stato parte contraente, aderente all’area dell’euro. Alla data del 12 luglio 2012, il Fiscal Compact è stato ratificato da 9 Paesi (Cipro, Danimarca, Grecia, Irlanda, Lituania, Lettonia, Portogallo, Romania e Slovenia); in due 2 Stati (Austria e Germania) è stato completato l’iter parlamentare della ratifica ma i relativi strumenti non sono stati ancora firmati dal Presidente della Repubblica.
Ogni paese, dopo la ratifica del trattato, avrà tempo fino al 1° Gennaio 2014 per introdurre la regola che impone il pareggio di bilancio nella legislazione nazionale. Solo i paesi che avranno introdotto tale regola entro il 1º marzo 2014 potranno ottenere eventuali prestiti da parte del Meccanismo Europeo di Stabilità.
E’ tutto collegato. Ogni tassello ha il suo posto prefissato. Quello che ne uscirà fuori sarà un puzzle mostruoso.
L’Italia in questo è già avanti. Il governo italiano ha ratificato e recepito l’imposizione europea, inserendo in Costituzione il principio del pareggio di bilancio. Il Senato, in data 17 Aprile, ha approvato con 235 si e 11 no e 24 astenuti il ddl di riforma dell’ art.81 della Costituzione che e’ legge con questa quarta e ultima lettura, prevista per le riforme costituzionali. Si è espresso a favore più dei due terzi dei componenti, evitando così il referendum confermativo. Anche qui, il tutto è avvenuto nel silenzio pressoché totale della stampa e delle televisioni, nell’omertà bipartisan di politologi e politici.
In pratica vi sarà solo una lenta ma inesorabile perdita di tutte le sovranità nazionali. E ancora una volta, alla faccia della democrazia, i cittadini non sono stati chiamati a partecipare alla decisione, anzi, sono stati addirittura esclusi dal dibattito in quanto televisioni e giornali hanno preferito glissare sull’argomento.
A dire il vero, sono convinto, che un dibattito non ci sia stato neanche all’interno delle aule parlamentari, in quanto si tratta di una imposizione europea ben supportata in Italia dal governo fantoccio di Mario Monti. Solo un voto a maggioranza qualificata poteva sovvertire il dicktat europea. Pura utopia. La maggior parte di coloro i quali hanno preso parte alla votazione, ne sono certo, non sapevano neanche cosa stavano andando a ratificare. Il che non vuole essere una attenuante ma una aggravante, che colpirà ben presto questi signori oramai dediti alla sola tutela dei propri privilegi.
Dimentichiamo spesso di essere in un regime monetario. Difatti, noi usiamo una valuta straniera, non sovrana, che ci impedisce autonomia nelle decisioni in materia economica. Un vero cappio al collo. E ora ci tolgono anche il supporto che ci aiuta a rimanere in vita. Alla luce dei fatti il pareggio di bilancio e l’estinzione del debito per uno Stato, a queste condizioni sono impossibili da realizzare.
L’unico modo per uscire da questa spirale, sarebbe quello di generare nel bilancio pubblico avanzi primari (la differenza tra le entrate dello Stato e la sua spesa al netto degli interessi corrisposti sul debito pubblico) talmente consistenti da superare la spesa per gli interessi. Debito pubblico/privato che è arrivato a toccare i 2700 miliardi di euro. Per far fronte ad un tale livello di indebitamento, bisognerebbe chiudere il bilancio con ricavi nettamente fuori dalla portata degli attuali governi. Inoltre una politica del genere (lo abbiamo visto in Grecia, Irlanda e Spagna) comporterebbe un sacrificio lacrime e sangue da parte dei cittadini, con taglio dei servizi e inasprimento della pressione tributaria. Quella che i tecnocrati chiamano con una certa libidine austerity. Presto toccherà anche noi beccarci le riforme di ripianamento, che ci schiacceranno nella povertà e nell’incertezza. Sono già state annunciate. Come è già partito il piano di liquidazione totale di tutte le aziende statali, di quella non in perdita si intende, e il draconiano taglio dei servizi essenziali di ogni cittadino, tra cui scuola, sanità e tutte quelle cose che fino ad oggi abbiamo dato per scontato, vivendo in un paese “progredito” e “sviluppato”.
Lo stesso Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha reso noto che l’Italia non raggiungerà il pareggio di bilancio almeno fino al 2017. Questo significa che se vogliamo raggiungere gli obiettivi prefissi dall’Ue ci dovremo accollare la metà del debito sulle nostre spalle. Ciò significa distruzione della Stato di Diritto. Dovremo pagare multe salatissime (pari allo 0,1% del Pil) ogniqualvolta non rispetteremo gli impegni presi firmando il Fiscal Compact. Saremo ancora più dipendenti e ricattabili, saremo una colonia (ma per noi non è una novità visto che siamo un potenta made in U.S.A. dal 1945), e verremo spogliati delle nostre ricchezze reali e saremo trattati alla stregua di schiavi.
I prossimi governi saranno “costretti” a mantenere la linea di austerity tracciata dalla bancocrazia Monti, tali trattati, sulla carta, non sono tralciabili. Il Parlamento italiano diventa ufficialmente un organo dei mercati, a cui si dovrà dare conto di ogni decisione e di cui si dovranno rispettare le “agende” prescritte.
In pratica abbiamo perso la sovranità nazionale in materia di scelte economiche. Privati oramai da tempo della facoltà di battere moneta, ci siamo chinati al volere globalista del super stato europeo.
E’ un domino: persa la sovranità monetaria, e ora quella economica, a breve dovremo rinunciare alla sovranità fiscale e poi politica che cadrà in mano, come auspicato su Repubblica da Curzio Maltese, a una casta ristretta di tecnici illuminati che guideranno il sopito ricordo degli stati nazione verso le porte del nuovo ordine mondiale, aprendo la strada a un regime sinarchico scientifico mondialista.
Come dichiarato in più occasioni e da diversi esponendi di varie sponde politiche e non, l’obiettivo finale è la creazione dagli Stati Uniti d’Europa, la tecnocrazia bancaria con un governo centrale, una banca centrale, una moneta unica e dove il popolo verrà spogliato della divisa di cittadino per indossare i panni ben più scomodi di merce, soggetto alle leggi del mercato neoliberista relativista globalizzato.
Un esempio sono le dichiarazioni odierne rilasciate dal deputato di ApI Bruno Tabacci:
Piu’ che cessioni di sovranita’ nazionale dobbiamo cominciare a pensare all’acquisizione di una piena sovranita’ europea fondata su un nuovo patto politico che leghi cittadini e istituzioni europee. L’Italia non puo’ che essere in prima linea”.
E poi mi vengono a dire che non sono i camerieri dei banchieri!
Ve lo scrivo con le parole di Alberto Bagnai, docente di Politica Economica e di Economia e Politica della Globalizzazione:
Il fiscal compact è un’assurdità, non devo spiegarlo a voi: in un sistema ingessato dalla politica monetaria unica, ingessare la politica fiscale equivale a condannarsi alla recessione. Il fiscal compact è più assurdo del patto di stabilità e di crescita, che non ha funzionato perché è stato violato per prima dalla Germania (quando doveva finanziare la sua svalutazione reale competitiva)“.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità
La modifica all’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) – la cui ratifica è oggetto del disegno di legge A.C. 5357, approvato dal Senato il 12 luglio scorso – è stata adottata con decisione del Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011, secondo la procedura semplificata di revisione dei trattati. L’art. 136 reca alcune disposizioni riguardanti specificamente gli Stati aderenti all’area dell’euro, volte a rafforzare il coordinamento delle politiche di bilancio e ad elaborare comuni orientamenti di politica economica.
La decisione prevede l’inserimento all’art. 136 del seguente paragrafo:Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità.”
Il procedimento di ratifica della modifica dell’art. 136 del TFUE si è perfezionato in 12 Stati membri (Cipro, Danimarca, Grecia, Francia, Ungheria, Lituania, Lussemburgo, Lettonia, Portogallo, Romania, Slovenia e Svezia), mentre in altri 9 Paesi (Austria, Repubblica ceca, Germania, Spagna, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia e Slovacchia) è intervenuta l’approvazione in sede parlamentare, senza tuttavia che la relativa legge sia ancora entrata in vigore.
Strettamente connesso a tale modifica, il Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità (MES) è stato siglato, in una prima versione, dagli Stati membri della zona euro l’11 luglio 2011; tenuto conto della predisposizione del Fiscal Compact e dell’esigenza di rafforzare il meccanismo alla luce delle tensioni sui mercati internazionali, il 2 febbraio di quest’anno è stato sottoscritto un nuovo Trattato internazionale.
In base all’art. 1 del Trattato, il MES è costituito dalle parti contraenti quale organizzazione finanziaria internazionale, con l’obiettivo istituzionale di mobilitare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità. A questo scopo è conferito al MES il potere di raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari o la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri membri, istituzioni finanziarie o terzi.
Gli organi principale del MES – che ha sede a Lussemburgo e può istituire un ufficio di collegamento a Bruxelles – sono, in base all’articolo 4, il Consiglio dei governatori, il Consiglio di amministrazione ed il Direttore generale.
Il Consiglio dei governatori, composto da un componente per ciascuno degli Stati membri del MES, nonché, in qualità di osservatori, dal Commissario europeo per gli affari economici, dal Presidente dell’Eurogruppo e dal Presidente della BCE, assume le principali decisioni relative al funzionamento del MES.
Il Consiglio di amministrazione svolge invece i compiti specifici delegati dal Consiglio dei governatori. Ogni governatore nomina un amministratore e un supplente, tra persone dotate di elevata competenza in campo economico e finanziario.
Il Direttore generale è nominato – per cinque anni (rinnovabili una volta) – dal Consiglio dei governatori fra i candidati dotati di esperienza internazionale pertinente e di elevato livello di competenza in campo economico e finanziario. Presiede le riunioni del Consiglio di amministrazione e partecipa alle riunioni del consiglio dei governatori.
Il Consiglio dei governatori ed il Consiglio di amministrazione decidono “di comune accordo” , a maggioranza qualificata o a maggioranza semplice. In particolare, il Consiglio dei governatori delibera all’unanimità su questioni di particolare rilevanza relative alla concessione dell’assistenza finanziaria, alle capacità di prestito del MES ed alle variazioni della gamma degli strumenti utilizzabili.
In base all’articolo 4, paragrafo 4, del Trattato nei casi in cui la Commissione europea e la BCE concludano che la mancata adozione di una decisione urgente circa la concessione o l’attuazione di un’assistenza finanziaria minacci la sostenibilità economica e finanziaria della zona euro, si ricorre a una procedura di votazione d’urgenza, nell’ambito della quale è sufficiente una maggioranza qualificata pari all’85% dei voti espressi.
Secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 7, del Trattato, ciascuno Stato membro ha un numero di diritti di voto pari alla quota di contribuzione al capitale versato. Il comma successivo stabilisce peraltro che, in caso di mancato versamento di parte della quota di contribuzione prevista, lo Stato membro inadempiente non potrà esercitare i propri diritti di voto per tutta la durata dell’inadempimento. I diritti di voto spettanti agli altri Stati membri verranno ricalcolati di conseguenza.
Il MES avrà un capitale sottoscritto totale di 700 miliardi di euro, di cui 80 miliardi di capitale versato dagli Stati membri della zona euro e una combinazione di capitale richiamabile impegnato e di garanzie degli Stati membri della zona euro per un importo totale di 620 miliardi di euro.
In base all’art. 41, il versamento delle quote da corrispondere in conto del capitale inizialmente sottoscritto da ciascun membro del MES dovrebbe effettuato in cinque rate annuali, ciascuna pari al 20% dell’importo totale. La prima rata è versata da ciascun membro del MES entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del trattato. Le restanti quattro rate sono corrisposte rispettivamente alla prima, seconda, terza e quarta data coincidenti con la data di pagamento della prima rata.
Il MES avrà una capacità effettiva di prestito pari a 500 miliardi di euro, soggetta a verifica periodica almeno ogni cinque anni. L’organismo potrà inoltre finanziarsi attraverso il collocamento di titoli di debito, attraverso la partecipazione del FMI alle operazioni di assistenza finanziaria.
Il Capo 4 del Trattato disciplina gli strumenti e le procedure per la concessione del sostegno del MES. In particolare, l’articolo 12 fissa i princìpi per l’assistenza ribadendo che essa possa essere concessa ove sia indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e dei suoi Stati membri e sulla base di condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, che possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite.
In base all’art. 13, uno Stato membro del MES può rivolgere una richiesta di assistenza finanziaria al Presidente del Consiglio dei governatori che assegna alla Commissione europea, di concerto con la BCE, il compito di valutare l’esistenza di un rischio per la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso o dei suoi Stati membri, a meno che la BCE non abbia già presentato un’analisi al riguardo; la sostenibilità del debito pubblico (se opportuno e possibile, tale valutazione dovrà essere effettuata insieme al FMI; le esigenze finanziarie effettive o potenziali del membro del MES interessato.
Sulla base di tale valutazione, il Consiglio dei governatori può decidere di concedere, in linea di principio, l’assistenza finanziaria affidando alla Commissione europea – di concerto con la BCE e, laddove possibile, insieme all’FMI – il compito di negoziare con il membro del MES interessato, un protocollo d’intesa che precisi le condizioni contenute nel dispositivo di assistenza finanziaria. Il contenuto del protocollo d’intesa riflette la gravità delle carenze da affrontare e lo strumento di assistenza finanziaria scelto.
La Commissione europea firma il protocollo d’intesa in nome e per conto del MES, previa approvazione del Consiglio dei governatori – e monitora di concerto con la BCE e, laddove possibile, insieme al FMI il rispetto delle condizioni cui è subordinato il dispositivo di assistenza finanziaria.
I risultati del monitoraggio sono inseriti in una relazione che la Commissione Europea presenta al Consiglio di amministrazione del MES, sulla base della quale quest’ultimo decide, di comune accordo, il versamento delle rate del prestito successive alla prima.
Il Trattato stabilisce che il Consiglio dei governatori possa decidere di concedere assistenza finanziaria a uno stato-membro del MES:
  • sotto forma di prestito (art. 15), secondo condizioni contenute in un programma di aggiustamento macroeconomico precisato in dettaglio nel protocollo d’intesa. Al fine di ridurre il rischio di azzardo morale, i tassi di interesse fissati per l’erogazione dei prestiti saranno pari al costo di finanziamento del MES (inclusi i costi operativi), includendovi un margine adeguato (art. 20);
  • mediante l’acquisto dei titoli emessi sul mercatoprimario da un membro del MES, al fine di ottimizzare l’efficienza in termini di costi dell’assistenza finanziaria, (art. 17);
  • effettuando operazioni sui mercati secondari in relazione alle obbligazioni di un membro del MES (art. 18);
  • in via precauzionale sotto forma di linea di credito condizionale precauzionale o sotto forma di una linea di credito soggetto a condizioni rafforzate
  • ricorrendo a prestiti con l’obiettivo specifico di ricapitalizzare le istituzioni finanziarie di un membro del MES (art. 16)
Il MES, in base all’art. 32 del Trattato, è dotato di piena personalità giuridica e capacità giuridica per acquisire e alienare beni mobili e immobili, stipulare contratti, convenire in giudizio e concludere un accordo e/o i protocolli eventualmente necessari per garantire che il suo status giuridico e i suoi privilegi e le sue immunità siano riconosciuti e che siano efficaci.
Per quanto attiene agli oneri derivanti dalla ratifica del Trattato istitutivo del MES, l’articolo 3 del disegno di legge (A.C. 5359, approvato dal Senato il 12 luglio scorso), non provvede ad esplicitare tali oneri, anche se la relazione tecnica che accompagna il disegno di legge richiama le disposizioni del Trattato per le quali la partecipazione al capitale versato del MES comporterà il pagamento iniziale per l’Italia di cinque rate annuali, ciascuna delle quali è quantificabile in circa 2,866 miliardi di euro -mentre gli importi ulteriori, a chiamata, restano al momento solo eventuali. Il medesimo articolo dispone altresì che per il versamento delle quote suddette, a decorrere dal 2012, vengano autorizzate emissioni di titoli di Stato a medio-lungo termine, il cui ricavo netto in tutto o in parte dovrà finanziare la contribuzione italiana al MES. Le caratteristiche di tali emissioni di titoli di Stato – definite come aggiuntive rispetto a quelle previste dai documenti di finanza pubblica per il triennio 2012-2014 – saranno stabilite con appositi decreti del Ministro dell’economia e delle finanze. Viene altresì specificato che tali importi non sono computati nel limite massimo di emissione di titoli di Stato stabilito dalla legge di approvazione del bilancio, né nel livello massimo del ricorso al mercato stabilito dalla legge di stabilità.
In base all’art. 48 il Trattato istitutivo entrerà in vigore non appena gli Stati membri che rappresentano il 90% degli impegni di capitale lo avranno ratificato. Alla data del 12 luglio 2012 il Trattato istitutivo del MES è stato ratificato (vedi tabella allegata) da 6 Paesi membri (Cipro, Grecia, Francia, Lussemburgo, Portogallo e Slovenia), che rappresentano il 26,55% del capitale; in altri 9 Paesi (Austria, Belgio, Germania, Spagna, Finlandia, Irlanda, Malta, Paesi Bassi, Slovacchia) si è concluso l’iter di ratifica parlamentare e si è in attesa della firma del Capo dello Stato. L’obiettivo è quello di rendere operativo il MES già nel mese di luglio, in modo da cumularne la capacità di intervento con quella dell’EFSF nella seconda metà del 2012 (con una capacità di prestito combinata pari a 700 miliardi di euro).
Il Consiglio europeo aveva inizialmente chiesto il rapido avvio delle procedure nazionali di approvazione, affinché la modifica potesse entrare in vigore il 1º gennaio 2013 (prima della scadenza dell’attuale meccanismo transitorio di stabilizzazione). Alla luce del perdurare della crisi del debito pubblico di alcuni Stati membri dell’area euro, il Consiglio europeo del 9 dicembre 2011 ha auspicato una accelerazione dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 136 e del trattato che istituisce il MES, concordando che quest’ultimo entri in vigore non appena gli Stati membri che rappresentano il 90% degli impegni di capitale lo avranno ratificato.
L’obiettivo è quello di rendere operativo il MES già nel mese di luglio, in modo da cumularne la capacità di intervento con quella dell’EFSF nella seconda metà del 2012 (con una capacità di prestito combinata pari a 700 miliardi di euro).
Non vi impressionate, non è roba complottista. Questa è tutta roba presa dal sito di governo della Camera dei Deputati. E poi diciamo la verità: i veri complottisti sono coloro che fanno i complotti e non coloro che cercano di smascherarli.

lunedì 11 giugno 2012

Software libero, la Pubblica Amministrazione risparmierebbe 675 milioni. Ma l’osservatorio è senza risorse.

L'ultimo bando per acquistare programmi proprietari di Microsoft è di 40 milioni. "Eppure nel 90% dei casi basterebbe un software gratuito". L'ex ministro Brunetta ha ridotto a un solo addetto l'Osservatorio sull'Open source. Monti ha inserito nella manovra “Salva Italia” l’obbligo per la Pa di “considerare” anche il software libero tra le scelte possibili. Ma non quello di adottarlo nel caso effettivamente convenga.

Un assegno da quaranta milioni di euro da Roma a Redmond. Forse l’impegno di spesa più sostanzioso di tutti i tempi per fornire le pubbliche amministrazioni italiane di software Microsoft. La gara, indetta con procedura telematica a maggio, scadrà il 18 giugno e dall’aggiudicazione in poi gli enti potranno aderire acquistando licenze d’uso che valgono un anno. Nel 2013 saranno da capo. E non è l’unica campagna acquisti in corso. Fujitsu si è appena aggiudicata la fornitura di 40mila licenze Office per 12,6 milioni di euro. Basta una rapida ricognizione sulla Gazzetta Ufficiale per scoprire come ogni ente pubblico dello Stato italiano, centrale o periferico, sia impegnato in una qualche gara per comprare software proprietario. Un fiume di denaro pubblico che, in un momento di ristretezze come questo, non può che riportare in auge il tema dell’open source, il codice sorgente libero e quasi gratuito.
Se ne parla dalla fine del secolo scorso, ma la strada per adottarlo è ancora tutta in salita. Gli enti locali lo hanno fatto in modo marginale (database, Open-Office, Csm…) e a macchia di leopardo; le Regioni hanno varato leggi e leggine, ma non ce n’è una che abbia fatto una seria politica di migrazione al software libero. A livello centrale è pure peggio: i governi degli ultimi anni hanno smantellato quel poco che si era mosso sulla strada del software libero. Così, insieme al tema dello spreco, inizia a imporsi quello del mancato sviluppo di un’intera industria nazionale che poteva essere rilevantissima in termini di occupazione. Insomma, lì ci sarebbe lavoro per chi lo vuol vedere. “Ma la politica è miope”. Lo denunciano le principali associazioni attive sui temi dell’open source e open data, da Agorà digitale all’Associazione Nazionale Informatici Pubblici e Aziendali (Anipa).
“Il software libero – sostiene Luca Nicotra, segretario di Agorà Digitale – avrebbe un impatto decisivo sull’economia locale dell’innovazione, farebbe lavorare professionisti e imprese che oggi di fatto non hanno un mercato e non lo avranno fino a quando le politiche nel settore pubblico saranno orientate al software chiuso proposto da grandi e influenti produttori con relazioni consolidate, rapporti pluriennali con amministrazioni centrali e periferiche. Alcuni governi pensano che dobbiamo riprendere questo controllo e dare la possibilità al paese, alle industrie locali, ai giovani programmatori di poter avere un ruolo nello sviluppo tecnologico. L’Italia su questo fronte non ha una sua visione e rischia di essere una centrale per gli acquisti a beneficio dei soliti noti, siano essi Microsoft, Ibm, Oracle o altri”.
Rincara la dose Flavia Marzano, presidente degli Stati Generali dell’Innovazione, docente universitaria e consulente in materia di nuove tecnologie in Pubblica Amministrazione: “Quei 40 milioni sono la punta dell’iceberg perché le amministrazioni acquistano di tutto e di più, anche quando l’alternativa è disponibile gratuitamente. Scandaloso il caso delle licenze di Office che gli enti locali continuano a comprare spendendo 30 milioni di euro quando c’è il corrispettivo Open Office”.
Secondo l’esperta la PA non ha bisogno di software proprietario “se non per un 10% di applicativi custom molto specifici venduti con licenza. Nel 90% dei casi, dal data base ai software di produttività personale e operativo non hanno bisogno. Il punto è che da troppi anni, da troppi governi, non sono state definite strategie a lungo termine per l’innovazione del Paese e questo anche per lo strapotere delle lobby che hanno in mano il mercato senza che nessuno controlli e metta loro un freno”. Il tema sarà dibattuto ampiamente nella VI Conferenza italiana sul software libero in programma all’Università di Ancona il 21 giugno.
Il dato di fatto, insomma, è che l’open source è rimasto al palo. Eppure gli esempi positivi, di innovazione e risparmio, in questi anni non sono mancati. Nel 2009 la Provincia di Bolzano ha adottato il software libero in un’ottantina di scuole pubbliche: spendeva in licenze 269mila euro l’anno, ora ne spende 27mila in manutenzione. Si calcola che se la stessa cosa facesse la Regione Sicilia si otterrebbe un risparmio annuale di 10 milioni di euro. Ma anche su questo fronte poco si muove. Toscana, Veneto , Piemonte, Umbria e Lazio hanno varato leggi regionali per agevolare l’adozione del software libero che sono rimaste sulla carta, dichiarazioni di intenti dal valore più simbolico che programmatico. “Io stessa ho partecipato all’iter che doveva portare Soru in Sardegna e Vendola in Puglia a una migrazione. Due fallimenti completi. Una volta riempito il cassetto di studi, anali e proposte è stato chiuso”, spiega la Marzano.
Nel frattempo a livello nazionale è successo qualcos’altro. I governi degli ultimi anni non hanno investito nulla sull’open source. Peggio, hanno addirittura smantellato quel poco che era stato messo in campo per promuoverne conoscenza e diffusione. Nel 2003 è stato istituito l’Osservatorio sull’Open source per catalogare i programmi senza licenza utili alle amministrazioni. L’Osservatorio è poi stato ridotto dal ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta a un ufficio senza fondi. Oggi esiste ancora, ma da due anni ha un solo addetto. “Mettiamo che ci sia un amministratore illuminato – ipotizza la Marzano – che voglia davvero smetterla di sprecare soldi pubblici in licenze, dove trova le alternative? Non c’è più un repository nazionale o un centro di competenza cui chiedere. Così, ogni amministrazione fa piccoli passi avanti per proprio conto, mentre la crescita dell’open source condiviso e scambiato sarebbe esponenziale”. Il “nuovo Codice dell’amministrazione digitale” di Brunetta non cita neppure la parola. Di open source non c’è traccia neppure nelle note. Una scelta sorprendente visto che lo stesso sito dedicato a spiegare la Riforma Brunetta è stato realizzato col cms open source Drupal.
Il risultato dell’abbandono è che, ad oggi, non si sa neppure quanto globalmente spenda il nostro paese come cliente di licenze proprietarie e quanto ricorra invece al software con codice sorgente libero e gratuito. I dati sull’acquisto, come detto, sono spersi in mille rivoli. Assinform nel 2003 stimava una spesa globale in Ict pari a 3 miliardi di euro (1,7 per quella centrale, 1,2 per la periferica) di cui circa 675 milioni in software con licenza. Statistiche più aggiornate non ce ne sono. Ed è paradossale perché proprio l’Istituto nazionale di statistica (Istat), da cinque anni a questa parte, è progressivamente migrato verso l’Open Source con un risparmio che il responsabile dello sviluppo software Carlo Vaccari stima pari al 50%. Nel 2003 Istat spendeva 1,2 milioni di euro l’anno in software proprietario, oggi spende meno della metà e sviluppa in proprio gli applicativi e i sistemi open di cui ha bisogno.
Anche il governo tecnico di Mario Monti, è l’opinione degli esperti, si è rivelato piuttosto “timido” nei confronti del software libero, anche se molti ricordano la battaglia tra l’allora commissario europeo e il gigante Bill Gates finita con una multa da 500 milioni di dollari per il magnate di Redmond. Da premier, Monti ha cambiato strada. Su pressione del radicale Marco Beltrando, che ha fatto passare un apposito emendamento in Senato, il capo del governo ha inserito nella manovra “Salva Italia” l’obbligo per la PA di “considerare” anche il software libero tra le scelte possibili (articolo 29-bis). Ma non quello di adottarlo nel caso effettivamente convenga. Una misura a metà, insomma. A esprimere quel parere è l’Ente nazionale per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (Digipa). Il suo presidente, Francesco Beltrame, non fatica ad ammettere che l’open source è ancora “una scelta marginale, tanto da non fare statistica”.
Anche l’Agenda Digitale promessa da Monti è in alto mare. Annunciata trionfalmente come decreto “DigItalia”, doveva essere inserita nelle liberalizzazioni di febbraio ma è slittata a fine giugno e probabilmente sarà sul tavolo del governo ad agosto e nella forma di una serie di linee guida e niente di più. “Sono intervenuta nella commissione che si occupa di open data – racconta la professoressa Marzano – e penso che sul fronte dell’open source non ci sia ancora la forza e la volontà politica di bloccare la corsa agli acquisti che semplifica la vita ai burocrati e rende felici le grandi imprese del software.
La strategia è tirare alla lunga anche se proprio un governo di tecnici come questo dovrebbe capire al volo che l’investimento nell’open source è strategico: magari all’inizio la migrazione costa nella formazione per i dipendenti, per far transitare gli applicativi e dati, ottimizzare i programmi. Ma è lampante che, fatto questo investimento, presto o tardi lo Stato arriverà al pareggio, da un certo punto in poi inizierà a fare risparmi incalcolabili. Per non parlare dell’indotto che una seria migrazione avrebbe sull’economia locale, dando uno sbocco a imprese e professionisti del software artigianale che oggi in Italia ci sono ma operano ai margini”.

fonte: Il Fatto Quotidiano

martedì 22 maggio 2012

Siamo un Paese terribilmente meraviglioso!

Gioia immensa e tanta speranza stanotte nel mio cuore spaccato a metà tra voglia di democrazia e voglia di rivoluzione. E' stato un giorno memorabile ma che non passino in secondo piano le nostre prime vittorie, forse meno eclatanti ma altrettanto significative. Come i successi del maggio 2011, quando un gruppo di sognatori con tanto impegno ed enormi sacrifici personali aveva sfidato il proprio cervello che gli imponeva di non illudersi ed assecondato il proprio cuore che li spingeva ad insistere, e si era buttato nelle elezioni amministrative addirittura 2 comuni della Provincia (Sala Baganza & Salsomaggiore) solo e soltanto per contribuire al bisogno di indispensabile cambiamento che sentivano necessario al mondo che li circondava. Le prime emozioni, la gente che dopo averti schivato, poi ignorato o guardato per tanto, troppo tempo con sguardi strani, poi comincia ad avvicinarsi. Il freddo o la pioggia ai banchetti tutte le settimane. Le lunghe serate degli incontri Meet Up di tutti i martedì, dove parole e sogni parevano assumere forme di volta in volta abbordabili. Poi la campagna elettorale, la raccolta firme, tante strette di mano, qualche complimento e qualche amarezza. L'allestimento di un palco fatto in casa con luci ed impianto audio prestato da amici ed addirittura uno schermo gigante.....
L'arrivo di Beppe a tirarci la volata finale della campagna in una calda notte in regalo qualche giorno prima del compleanno, dove le gambe e la voce tremavano come in un paradossale insulto di Novembre di cicale...., eppur si stringono i denti e abbracciano persone che paiono proprio volere te su quel palco in quel momento....illusioni di credere di capire cosa provano le rock star.....e poi il gusto del successo con i primi 2 consiglieri entrambi eletti nei comuni dove ci si è presentati, mesi di intenso lavoro identico ed avvincente come prima ma fatto anche di nottate a leggere statuti, regolamenti, a discutere di cose nuove come mozioni ed interpellanza. Ed ora la conquista anche della roccaforte del capoluogo della provincia grazie alla tenacia, alla preparazione ed alle capacità di altri come noi che di nome fanno Federico, Marco, Alex, Cinzia, Patrizia, Mauro, Paola.........si forse ne valeva la pena, forse una concreta speranza sembra essere possibile, forse i nostri figli avranno un Italia migliore....Grazie a tutti davvero di cuore, siamo un Paese terribilmente meraviglioso!


P.B.

lunedì 21 maggio 2012

PARMA HA UN SINDACO A 5 STELLE!!!!!!!!

PARMA HA UN SINDACO A 5 STELLE!!!!!!!!
bisogna solo ringraziare noi stessi, per la speranza e la volontà che ci spinge al CAMBIAMENTO!
e soprattutto perchè L'INCENERITORE A 6km dal centro di PARMA NON SI FARA'!!!
ora comincia l'ora di lavorare davvero, facciamo progetti eco-sostenibili e li pubblichiamo
intercettiamo fondi e li implementiamo.
ci sara' bisogno del contributo di tutti!
PARMA sarai la PROVA DELLA VERITA' del cambiamento!

SPECIALE ELEZIONI SINDACO DI PARMA

SPECIALE ELEZIONI SINDACO DI PARMA – I risultati in tempo reale: Pizzarotti al 59,95%
Sezioni scrutinate: 172/203


 

Terremoto Emilia Romagna, grazie al Governo Monti lo Stato non pagherà i danni

Sabato notte la terra del Nord Italia è tornata a tremare. La scossa più violenta del terremoto c’è stata alle 4.05 ed è stata del sesto grado Richter. Ha colpito principalmente l’Emilia Romagna (in particolar modo le Province emiliane di Modena e Ferrara), ma la scossa è stata avvertita fino a Milano, in gran parte del Veneto e in Liguria. Il presidente dell’Emilia-Romagna, Vasco Errani, ha chiesto lo stato di emergenza nazionale.
Il bilancio delle vittime di questa terribile catastrofe naturale è salito a sei. Il terremoto ha spezzato le vite di tante famiglie, distruggendo tante vittime innocenti e i sacrifici di una vita di tantissime persone (abitazioni, ville, negozi, esercizi commerciali, ecc.). Una rabbia dei cittadini che cresce di ora in ora contro uno Stato che investe pochissimo e sempre di meno in sicurezza e protezione civile. Anche in questo campo il Governo Monti ha fatto cilecca.
Il Governo tecnico, presieduto dal Professore Mario Monti, ha combinato un altro disastro su un argomento che dovrebbe essere a cuore a tutto il Paese e in particolar modo a chi guida le istituzioni del nostro Paese. Alcuni giorni fa è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il decreto legge n.59/2012 in materia di riordino della protezione civile. La novità che davvero lascia senza parole tutte le persone di buon senso riguarda “l’avvio di un regime assicurativo per la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali sui fabbricati a qualunque uso destinati in quanto possono essere estese tutte le polizze assicurative contro qualsiasi tipo di fabbricato appartenente a privati”. Il dl prevede il regime transitorio anche a fini sperimentali ed entro 90 giorni dovrà essere emanato un regolamento che stabilisca modalità a termini per l’avvio del regime assicurativo.
Una norma che sta scatenando un vespaio di polemiche sul web poiché in caso di calamità naturali, terremoto, alluvione o altra catastrofe naturale, lo Stato non pagherà più i danni ai cittadini! In poche parole per ricostruire le case o le aziende distrutte dal terremoto o dall’alluvione, i cittadini non hanno scelta: dovranno ricorrere ancora una volta al portafoglio per l’assicurazione volontaria. Un altro duro colpo per tutto il popolo italiano che è stato già “tartassato” con nuove imposte e tasse dal Governo Monti per evitare il default dell’Italia.
In un periodo di crisi economico-finanziaria davvero tragico, che sta scatenando una raffica di suicidi e un incremento pazzesco di tutti coloro che soffrono di depressione per aver perso il lavoro, l’esecutivo ha irresponsabilmente addebitato ai cittadini la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali su qualsiasi fabbricato per poter “garantire adeguati, tempestivi ed uniformi livelli di soddisfacimento delle esigenze di riparazione e ricostruzione”.
Un provvedimento che colpisce in pieno una delle fondamenta della nostra società (il contratto sociale) e di uno Stato di diritto.
Ma in che Stato viviamo? Dove andremo a finire di questo passo?
E’ mai possibile vivere in uno Stato che tartassa fino al collo tutti i cittadini con nuove imposte, senza per altro garantire neanche un minimo di assistenza ai propri cittadini nemmeno in situazioni di catastrofe naturale?
Oltre il danno, anche la beffa.

Noi non ci stiamo!!

THE NEW YORK TIMES: Caustic Comedian Alters Italy’s Political Map

Un inviato del New York Times nei giorni scorsi ha seguito da vicino il Movimento 5 Stelle. E tre giorni fa il giornale americano ha pubblicato un ampio servizio proprio sui "grillini". Articolo interamente tradotto sul blog di Beppe Grillo che riproponiamo:

"Caustic Comedian Alters Italy's Political Map" GARBAGNATE MILANESE -- Una folla rapita, raccolta in una città dell'hinterland milanese una sera di questa settimana per ascoltare il comico italiano Beppe Grillo nel suo caratteristico e caustico discorso sulla politica italiana. E Grillo non li ha delusi. "Togliete i soldi dalla politica, togliete le carriere. Se qualcuno vuole arricchirsi o rubare, bene, deve scegliersi un altro lavoro". "Senza soldi la politica diventa passione". Grillo ha indicato la fila di facce fresche di italiani - candidati con il suo MoVimento 5 Stelle che competono per il ballottaggio questo fine settimana - su un palco improvvisato dietro di lui. "Questi ragazzi forse mancano di esperienza, non hanno ancora imparato come truccare un bilancio, o a dare contratti ai loro amici..." .
Sono il prodotto di una "iperdemocrazia" che è stata promossa attraverso il suo blog e la pletora di siti internet che hanno aggregato italiani con le stesse idee e creato proseliti attraverso una nuova forma di attivismo politico. Ed è attraverso una abile miscela di humor corrosivo, giusta rabbia e una organizzazione distribuita che il movimento di Grillo sta dimostrando di non essere uno scherzo. Sebbene sia stato fondato solo nell'ottobre del 2009, il MoVimento 5 Stelle, è diventato velocemente una forza politica. Nel primo turno delle elezioni locali di maggio, ha presentato candidati in 101 delle 941 città e ottenuto circa 200.000 voti - una percentuale nazionale del 9% - diventando secondo o terzo in molti Comuni. Il M5S ha vinto in un piccolo, ma strategico Comune, roccaforte della Lega Nord, il partito populista il cui leeader, Umberto Bossi, è sotto inchiesta per frode.
"Noi siamo all'inizio di qualcosa che cambierà ogni cosa. Il Web spazzerà via ogni cosa, verso un mondo che molti non sanno neppure che esiste". Beppe Grillo ha più di 550.000 persone che lo seguono su Twitter e circa 850.000 su Facebook. "Tutto questo è difficile da capire. Forse ci riusciremo tra 5 o 10 anni".
Grazie al blog di Grillo, nato nel 2005, e alle sue varie incarnazioni, il M5S è diventato rapidamente un punto di aggregazione per l'insofferenza degli italiani nei confronti dei partiti politici, che sembrano sempre più lontani dai bisogni dei cittadini e sono abitualmente chiamati "La Casta". I sondaggi danno al 5% la fiducia nei politici. (I politici non fanno nulla per aiutare la situazione, soltanto 20 su 630 deputati erano presenti alla Camera questa settimana per discutere il taglio dei finanziamenti elettorali).
Angelo Pellegrino, un idraulico presente al comizio di Grillo. ha detto "I politici sono ladri, pagliacci, buffoni, vivono come dei re. Anche noi siamo da biasimare perché li abbiamo votati".
I commentatori politici hanno valutato il M5S alla stregua di una protesta nazionale, non come altri movimenti presenti in Europa come il partito dei Pirati tedesco e Alba Dorata di estrema destra in Grecia. Ma il M5S rifiuta questa caratterizzazione e entusiasticamente diffonde il suo programma - una piattaforma ambientalista e anticonsumista articolata in molte variazioni locali. A livello locale viene deciso quali aspetti enfatizzare ed eletto un "portavoce" per rappresentare le idee nelle competizioni elettorali.
"La novità è l'uso del Web come aggregazione, l'idea di una nuova democrazia con una relazione diretta tra l'eletto e gli elettori" dice Federico Fornaro, uno storico che ha scritto sul M5S, "un modello di partito in franchising".
Finora il suo successo è in larga parte dovuto al focus sulle elezioni locali. Nelle cinque città dove il M5S va al ballottaggio, quella più importante è Parma, una ricca città afflitta da decadi di scandali. Grillo descrive il voto di Parma come la "nostra Stalingrado", con riferimento alla battaglia della Seconda Guerra Mondiale del 1942-43 tra l'Unione Sovietica e la Germania che fu il punto di svolta della guerra.
Federico Pizzarotti, che rappresenta il M5S a Parma, ha detto "E' importante essere disponibili ad ascoltare le richieste dei cittadini".
Grillo e i suoi sostenitori stanno guardando anche alle elezioni politiche del prossimo anno, che pongono nuove sfide all'abilità di un movimento senza leader di organizzarsi e di mobilitarsi. "Quando c'è una gerarchia, tutto cade a pezzi," avverte Gianluca Perilli, un membro del M5S a Roma. "I partiti sono il cancro della politica".
Trovare un messaggio comune per l'elettorato sarà un test per il collante di questo iperdemocratico movimento che rifiuta di definire sé stesso attraverso etichette ed elabora la sua posizione politica attraverso i siti online "dove ognuno conta uno". "Per ora, hanno vinto solo nelle piccole città," ha detto Paolo Natale, professore di scienze politiche all'Università di Milano. "Sarà interessante vedere se la visione utopica che propongono potrà essere sviluppata per le elezioni nazionali". Il Web come punto di contatto "è sia la loro forza che la loro debolezza. Possono essere un po' ingenui". Fornaro descrive lo spostamento del M5S alle elezioni politiche come "un triplo salto mortale senza rete". E ha aggiunto "Una cosa è sollevare un putiferio, altro è governare". Grillo non è preoccupato, non ha difficoltà ad ammettere che il M5S è in fase di sviluppo e insiste che lui non è primo tra gli uguali, e anche meno di un "guru", come i suoi critici lo hanno etichettato. Ma non si può negare che i suoi pronunciamenti - è aperto, ad esempio, all'uscita dall'euro - inviino delle "shockwave" all'interno del movimento. Ha sostenuto l'idea di far giudicare i politici italiani da una giuria popolare. "Non c'è perdono in un movimento popolare".
Anche Internet non perdona, e ha un proprio sistema di pesi e contrappesi, ha detto Gianroberto Casaleggio, il consulente web reponsabile dello sviluppo della presenza on line di Beppe Grillo. "Se sei credibile e popolare come Grillo, il tuo messaggio ha una larga diffusione sul Web". "E' un movimento calvinista. Se perdi la tua credibilità, allora il tuo messaggio non ha futuro".
Qui, in Garbagnate Milanese, Grillo conclude "Chi sa dove finiremo? Io non lo so. Questa è democrazia diretta. Noi non siamo un movimento politico; questa è una rivoluzione culturale che sta per cambiare la società".

giovedì 17 maggio 2012

NO INCENERITORE







ottimo! c'è chi ci scrive e decide di donarci del proprio logo
come questo graphic designer




 per appoggiare la causa di 
NO INCENERITORE
e allora noi lo pubblichiamo!